Artè chiude dopo 27 anni Il lungo addio a Trieste dell’antiquario Lamacchia

«Con un encomio del presidente della Repubblica, uno del Papa e la medaglia di gratitudine del Comune di Trieste, dopo quasi trent’anni di onorata attività, chiude baracca e burattini e si dà a Lamacchia». Il necrologio viene naturale parlando del titolare di Artè e dell’editore de “Il Massimiliano”, Fabio Lamacchia, “ex” dal 31 agosto scorso. Il mercante d’arte (come preferisce definirsi, piuttosto che gallerista o antiquario o rigattiere o perito di cui è delegato provinciale), 55 anni, lascia Trieste, la sua città natale, e si trasferisce nella Marca trevigiana, lungo il Sile. Il negozio, prima in via Giorgio Vasari (21 anni) e poi in via Diaz (proprio di fronte al Museo Revoltella) ha chiuso i battenti a fine agosto. Si spegne così l’insegna Artè nata nel 1986. È un addio mitteleuropeo. Un congedo dalla “scontrosa grazia” di Trieste. «Purtroppo a Trieste sono rimasti pochi ebrei. È una città non va più a ritmo di valzer viennese, ma a ritmo di valzer lento inglese che sembra il preludio di una polka mai musicata» detta Lamacchia. Una città dal grande avvenire alle spalle: «La cultura è amministrata da un padovano, la galleria d’arte moderna non è retta da un triestino e le mostre sui pittori triestini le fa un bravo istriano. Più internazionali di così». Superfluo fare nomi.
La crisi poi ha fatto il resto. Il mercato dell’arte e dell’antiquariato sta pagando il prezzo più salato. «Nel 2012 hanno chiuso in Italia più di 480 gallerie d’arte. L’80% in meno in Italia di transazioni economiche sui beni artistici. In pochi anni a Trieste hanno chiuso circa 20 gallerie: Il Giardino di Princivalli, Melelli (presidente degli antiquari del Fvg), Pillon, Loredana La Magnolia, Fulvio Rosso. In provincia di Trieste ormai i collezionisti di rilievo non sono più di dodici. E molti di questi sono ormai pieni di roba e non comprano più nulla». Non c’è più mercato, insomma.
Con la fine di Artè si consuma anche il trasloco online del periodo “Il Massimiliano”, ceduto dopo 16 anni e 140mila copie, all’Arcadia Editore di Giorgio Ruggieri, uno dei due pubblicisti formatosi sul trimestrale di Lamacchia. «Mi dispiace non poter più ospitare le firme che ho ospitato in questi anni: hanno scritto tutti i direttori dei musei del Triveneto - racconta l’ex direttore editore -. E mi dispiace che non facciamo più l’inserto dei Carabinieri tutela patrimonio culturale». Sul numero 64 dello scorso dicembre c’era una massima che suonava come epitaffio: «Sono vissuto. Il tempo che la sorte mi ha dato è compiuto». Il nuovo numero online è già in rete (www.ilmassimiliano.com).
Non c’è solo la rivista, ma anche una ventina di quaderni dedicati agli artisti triestini sfornati nel corso degli anni dall’editore Lamacchia «Gli userò come biglietti da visita. Regalerò i libri» dice tra lo snob e il dandy. Monografie di artisti apprezzate persino Vittorio Sgarbi. «Del quaderno su Parin mi disse che era il più bel libro che lui aveva visto in vita sua. Soprattutto perchè non c’è niente di scritto dentro».
E adesso? Cosa farà da grande il mitteleuropeo Lamaccchia? Da poco è stato nominato delegato da per la provincia di Treviso dal collegio nazionale dei periti di Roma. In questo momento sta studiando, con un comitato scientifico, composto da economisti e storici dell’arte, il testo di una patrimoniale sulle opere d’arte da proporre alla presidenza del Consiglio dei ministri. «Sto facendo tutto questo con il luddismo aritmetico sotto l’ombra di un salice sulla Restera trevigiana. Gioco con l’aquilone ma conto al millimetro il filo» conclude Lamacchia. A Trieste non c’erano salici piangenti.
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