Arvedi a Trieste: «Prima la Ferriera in affitto, poi la compriamo»

L’imprenditore al “Piccolo”: «Noi siamo pronti da subito, dipende dalle istituzioni. Investirò per renderla pulita. Salvaguarderemo i livelli occupazionali»

No. L’ora della Ferriera, quella della fine tanto per capirci, non solo non sta per arrivare. S’allontana, addirittura. Lo stabilimento - annuncia da Trieste il cavalier Giovanni Arvedi in persona, che stringe per l’affitto immediato per sei mesi, nei quali promette di sistemare il problema ambientale, per poter poi perfezionare l’acquisto vero e proprio - per intanto non chiuderà il prossimo 31 agosto, così come minacciava l’ultimatum lanciato alla metà di luglio per asfissia finanziaria dal commissario straordinario di Lucchini Piero Nardi (“o entra subito Arvedi o tutti a casa”). All’indomani di quel 31 agosto - e qui lo stesso Arvedi è chiarissimo - non si dovrà più guardare al 2015 come deadline per la dismissione dell’impianto. Come data di scadenza, benché scolpita nella testa di politici, sindacalisti, amministratori, lavoratori e cittadini. Se però la Ferriera non ha da morire - s’impegna l’imprenditore a capo dell’omonimo colosso siderurgico con quartier generale a Cremona - non soltanto non dovranno morire di fame le famiglie dei suoi attuali 480 dipendenti. Non dovrebbero morire (più) d’inquinamento neppure, e soprattutto, le famiglie che hanno casa a Servola e dintorni. Anzi, per il credibile superamento del nodo ecologico (e, di conseguenza, pure sanitario) Arvedi mette già sul piatto un investimento da «decine di milioni di euro». Da subito.
La sfida di lunga vita della fabbrica-simbolo di questa città (simbolo nel bene e nel male, ma nei pensieri e nelle affermazioni pubbliche di chi la lancia dovrebbe diventarlo nel bene punto e basta) ha proprio l’autografo di Giovanni Arvedi, in queste ore in città assieme a moglie e staff, accompagnato a sua volta dall’ingegner Francesco Rosato, già direttore dello stabilimento, poi consulente del Comune voluto - non senza fibrillazioni politiche nella stessa maggioranza cittadina di centrosinistra - da Roberto Cosolini per la soluzione del rebus-Ferriera.

Arvedi non ama essere uomo da copertina. In questa circostanza accetta il confronto, gentile e sorridente, col Piccolo, in un hotel del centro, perché - dopo essere andato vicino anni fa, nel trapasso Illy-Tondo, ad aver in mano proprio la Ferriera - vuole far passare forte e nitido il messaggio che lui, stavolta, è determinato ad andare fino in fondo. E, per farlo, non ci mette solo il nome. Anche la faccia.

Cavalier Arvedi, lei è a Trieste per incontrare personalmente i vertici delle amministrazioni territoriali e quelli locali di Confindustria e sindacati. Quale piano industriale si prospetta per la Ferriera?
Un piano nel pieno rispetto delle persone a tutt’oggi impiegate nello stabilimento. Ci prefiggiamo di riportare, nel rispetto anche di tutti gli obblighi ecologici, la produzione ai massimi livelli.
L’ultimatum del 31 agosto, insomma, è superato?
Sì, entro quella data dovremmo aver concretizzato la trattativa con l’attuale proprietà per la gestione dell’area.
In quali termini? Conferma la formula di partenza dell’affitto?
Sì, la nostra intenzione è di sottoscrivere un contratto d’affitto di sei mesi, periodo durante il quale dovremo raggiungere e accertare la piena e definitiva soluzione del problema dell’inquinamento. Sia chiaro che, alla mia giovane età, non vengo da Cremona a Trieste per creare, alla fine, dei problemi al mio “prossimo” triestino.
Che intende dire?
Che l’uomo può far fronte a tutto ciò che crea, anche ai problemi che lui stesso ha generato. Se ad esempio ha creato gli altiforni, può e dev’essere capace di creare il sistema perché questi altiforni non siano di danno a nessuno. Il problema ecologico può essere risolto in modo indolore per tutti. Il problema più critico della Ferriera, semmai, è l’aspetto industriale. Sono i costi di trasformazione delle materie prime, minerali e carbone, nel prodotto, la ghisa solida. È qui che lo stabilimento si gioca il futuro. Non sul problema ecologico, ma sui costi di trasformazione.
Tra i costi di trasformazione, di produzione, rientra il costo del lavoro. Intende comprimerlo, tagliare cioè posti di lavoro? Che messaggio può lanciare ai lavoratori e ai sindacati, già sull’attenti davanti a un possibile, stando alle voci di questo periodo, ridimensionamento del 20% dell’attuale occupazione?
È un aspetto da esaminare per bene, questo. Noi contiamo di partire coi due altiforni, e per farlo dobbiamo impiegare la massima forza possibile in termini occupazionali. La nostra intenzione è quella di lavorare con la massima serietà proprio per cercare di salvare i posti di lavoro. Tutti. Ciò potrà essere perseguito una volta che avremo raggiunto il risultato definitivo del superamento del problema ambientale. Che, ripeto, è risolvibile. Risolvibile coi fatti, non solo a parole.
Ma a quanto ammonta, a grandi linee, l’investimento necessario a risolvere una volta per tutte, come sostiene lei, la questione ambientale?
A qualche decina di milioni di euro. È la nostra priorità, in questi primi sei mesi in regime d’affitto.
Dopodiché? Sarà prolungato, magari per un periodo più lungo, tale regime d’affitto? O intende procedere all’acquisto?
All’acquisto, direttamente.
Conferma le indiscrezioni delle ultime settimane in base alle quali il subentro di Arvedi a Lucchini nella Ferriera sarebbe possibile anche senza il contestuale controllo della centrale di cogenerazione di Elettra?
No. Elettra è parte integrante del progetto, dello stabilimento in questione. Sennò i gas dove li mettiamo? Comunque, anche su questo fronte, devo ammettere che non stiamo trovando grossi ostacoli.
Il 2015, da anni indicato come l’ora della dismissione, è a sua volta superato, pare di capire.
Beh sì, noi sappiamo come fare e cosa fare.
Lei è qui per rapportarsi di persona coi vertici istituzionali del territorio. Cosa si aspetta da loro?
Mi aspetto e mi auguro che siano veloci come intendiamo esserlo noi.
Nei giorni scorsi la presidente della Regione Debora Serracchiani ha parlato della trattativa con il gruppo che lei rappresenta come di una fase decisiva per trasformare, quella della Ferriera, in un’area a vocazione plurima. Industriale, portuale, logistica. C’è posto per l’attività portuale e la logistica nei suoi piani?
Potenzialmente non l’escludo. Certo che se la città si affrettasse a fare la banchina di fronte alla cokeria, come avevo già chiesto anni addietro, un simile scenario sarebbe più facilmente percorribile. L’avevo chiesto non per me, ma per voi. Per Trieste intendo.
A proposito di perimetro marittimo triestino. Si è fatto un’idea, dal di fuori, dei destini non solo portuali di Porto Vecchio, e pure del faticoso iter di sviluppo dei traffici di Porto Nuovo?
Non conosco per il momento la questione.
Come la vede allora lei Trieste, in generale, da osservatore esterno ma, ormai, coinvolto, interessato?
La vedo bella. Mi auguro però, prima di ogni altra cosa, che accolga con serenità e senza pregiudizi il lavoro che intendiamo portare avanti qui col massimo della nostra professionalità.
RIPRODUZIONE RISERVATA
 

Riproduzione riservata © Il Piccolo