«Avalon, fatale il mix di sostanze»

Un terribile mix composto di cloro liquido e dicloroisocianurato. Praticamente cloro liquido e cloro solido che, per reazione chimica, si sono uniti all’interno del vano tecnico della piscina dell’Avalon. A provocare lo scorso 7 dicembre l’esplosione al centro benessere di Borgo Grotta Gigante potrebbe essere stato proprio questo micidiale cocktail di sostanze.
Lo scrivono a chiare lettere Luigi Colugnati e Dario Zanut, i consulenti nominati dal pm Matteo Tripani che hanno depositato la perizia. Per lo scoppio - in cui era rimasta ferita in modo grave l’istruttrice di nuoto Sonia Pugnetti, oltre ad alcuni ospiti della struttura in maniera più lieve - sono indagati il medico imprenditore Michele Quinto, 51 anni, di Ronchi dei Legionari e il notaio Massimo Paparo, 59 anni, amministratori della struttura; e il tecnico addetto alla manutenzione della piscina, Stefano Furlan, titolare della ditta Acquatecnica.
Il lessico dei periti è complesso, ma il significato è chiaro: l’esplosione si è originata «nel serbatoio destinato a contenere l’agente clorante Chlor liquide. In quel momento era stata da poco immessa una soluzione di diocloroisocianurato preparata a partire dal prodotto solido». I due esperti formulano anche un’ipotesi su come potrebbero essersi svolti i fatti. Ipotesi che attribuisce di conseguenza la maggiore responsabilità al tecnico Stefano Furlan. Scrivono i consulenti nelle conclusioni della perizia: «È probabile che il mancato svuotamento del fusto dei resti di ipoclorito e magari l’intervallo di tempo necessario per andare ad aprire il rubinetto d’alimentazione dell’acqua possono aver dato il tempo al solido di iniziare una specifica catena di processi che ha impedito la solubilizzazione completa del reattivo al diocloroisocianurato». L’esame dei periti non si è limitato ai sopralluoghi e all’acquisizione sul posto dei resti dell’esplosione, ma sono stati anche eseguiti test su modiche quantità che hanno dimostrato, così si legge, «una latenza di reazione molto breve con un rapido innalzamento della temperatura già solo dopo pochissimi minuti». Nella perizia si parla anche di un «nucleo caldo» provocato dall’accumulo nel fusto e nelle immediate adiacenze del tricloruro di azoto prima di auto innescarsi e dar luogo all’esplosione.
Una ricostruzione questa che contrasta con le dichiarazioni del tecnico Stefano Furlan rese nel corso del primo interrogatorio davanti al pm Tripani. «Delle pastiglie di cloro lasciate sul contenitore di acido solforico non so nulla», aveva detto Furlan: «Ma confermo di aver lasciato aperta la porta del vano tecnico annesso al centro benessere di Borgo Grotta». Poi aveva anche ribadito: «Non c’è stato nessun sacchetto abbandonato sopra i fusti poi esplosi. Io almeno, non l’ho lasciato in quella posizione. Forse l’hanno fatto altri. Il giorno prima dello scoppio ero entrato nel locale per cambiare il prodotto ed effettuare un travaso. Dubito che in 24 ore possa avviarsi una reazione chimica che poi si è manifestata con l’esplosione».
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