“Bastonata” sul finanziere delle tangenti

Il maresciallo capo della Guardia di finanza Fabio Latini, 44 anni, i soldi li aveva chiesti all’antiquario Andy Vecchiato strofinando ripetutamente l’indice e il pollice della mano destra. L’altro non capiva. E lui aveva insistito mostrando le mani aperte come per dire che andavano riempite di denaro cash. Poi aveva parlato di “dieci bottiglie” per chiudere la verifica. Dieci bottiglie significavano mille euro per metterci una pietra sopra.
L’altra sera è arrivata la condanna. Cinque anni e sei mesi. Una mazzata tremenda se si pensa che il pm Massimo De Bortoli aveva indicato come equa, per il sottufficile all’epoca in forza al locale Gruppo, la pena di tre anni e otto mesi. Ma il collegio presieduto da Filippo Gullotta e composto dai giudici Pietro Leanza e Francesco Antoni l’ha aumentata di oltre un terzo. E poi ha disposto l’interdizione perpetua dai pubblici uffici ma anche l’estizione del rapporto di lavoro. Insomma, il licenziamento dalla Guardia di finanza. Non basta. Il maresciallo capo dovrà risarcire 50mila euro al ministero delle Finanze che, tramite l’avvocato dello Stato Marco Meloni, si è costituito parte civile e dovrà dare altri 23mila euro ad Andy Vecchiato e al suo dipendente, Alberto Vlack, assistiti dagli avvocati Guido Fabbretti e Francesca Castelletti.
Tre gli episodi di concussione indicati nel capo di imputazione. Ma l’accusa era anche di truffa e falso, reati riferiti alla Guardia di finanza, e di minacce nei confronti dei due commercianti. I difensori Fabio Gerbini e Paolo Pacileo si sono battuti per l’assoluzione. Ma non c’è stato scampo.
La vicenda era cominciata il 27 agosto del 2010. Alle 11 il maresciallo capo Latini si era presentato nel negozio di rigattiere in via Udine. Aveva genericamente parlato di «incongruenze» nella contabilità. Poi aveva ipotizzato serie questioni di ordine fiscale.
Il commerciante Vecchiato si era spaventato. A nulla era servita la spiegazione del padre Roberto, subito intervenuto, che aveva rilevato come le verifiche fiscali effettuate negli anni precedenti non avessero dato adito ad alcun problema. Nulla da fare. Ma, al termine del colloquio, Latini aveva cambiato atteggiamento invitando persino il commerciante a bere qualcosa al bar vicino. Era diventato più ammiccante. E al momento di congedarsi, aveva annunciato a Vecchiato che lo avrebbe contattato successivamente.
Così era stato. Dopo pochi giorni era arrivata la convocazione in caserma di Molo Fratelli Bandiera. Ed era stato lì, nella saletta, che era avvenuto il primo passaggio di denaro: due banconote da 500 euro che erano state appoggiate all’interno della macchina delle bibite.
Erano giunte quindi altre richieste indirette di denaro. A far arrestare il finanziere, denunciando l’accaduto, erano stati direttamente i due Vecchiato, padre e figlio. Si erano rivolti addirittura al Comando regionale della Guardia di finanza. Erano stati ricevuti da un ufficiale e avevano spiegato. «Non sappiamo come fare. Abbiamo paura», avevano detto.
Così era stata congegnata la trappola e il maresciallo era stato seguito e pedinato dai suoi stessi colleghi. Fino a quando erano scattate le manette.
Arrestato per concussione. Poi erano emersi altri aspetti. «Trieste è piccola, te la farò pagare», aveva detto a un dipendente del negozio di via Udine incontrato in centro. Dagli accertamenti era anche emerso che sui fogli di uscita dalla caserma Latini aveva scritto che andava a effettuare dei controlli all’Inps nei confronti di una ditta di restauri di Salerno. In realtà era andato dall’antiquario di via Udine per convincerlo a pagare per evitare o ammorbidire la verifica. In altre due occasioni era uscito per fatti privati: in qualità di proprietario di un immobile si era incontrato con un possibile cliente per definire un contratto di affitto. Ovviamente in nero.
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