Belgrado minaccia la guerra per il Kosovo
di Stefano Giantin
TRIESTE
Se necessario, la Serbia potrebbe scendere in guerra per difendere il Kosovo. Il sasso nello stagno è stato lanciato non dagli ultraradicali o dall’estrema destra nazionalista di Belgrado, ma addirittura dal vicepremier e ministro degli Interni serbo, Ivica Dacic. Il leader del partito socialista ha espresso mercoledì con estrema chiarezza la sua nuova, durissima posizione. Partendo dal presupposto che nessuno, in Serbia, «deve affermare che il Kosovo è perso», il politico belgradese ha poi aggiunto: «E neppure si deve pensare che la Serbia non entrerebbe più in guerra per difenderlo». Forse per mitigare parzialmente la durezza delle dichiarazioni, Dacic ha spiegato infine quale potrebbe essere il “vulnus” che potrebbe sfociare in un nuovo sanguinoso conflitto nei Balcani. «La linea rossa per Belgrado è un assalto armato contro i serbi del Kosovo e Metohija da parte di Hashim Thaci», il primo ministro kosovaro che nei mesi scorsi ha abbracciato la linea oltranzistica contro i serbi del Nord, ostili a sottomettersi alle autorità del Kosovo indipendente. «Thaci deve sapere che un attacco contro il Nord sarebbe letto allo stesso tempo come un’aggressione contro Belgrado. La Serbia, in questo caso, non vuole e non potrà stare a guardare e rimanere pacifica», ha chiosato il vicepremier. Per rendere il succo del discorso ancora più esplicito, ha usato un paragone per ora alquanto azzardato: «Se la Turchia ha potuto sostenere che l’assedio di Sarajevo era un attacco contro Istanbul, non vedo perché noi non possiamo dire che lo stesso vale per Kosovska Mitrovica». Continuare sulla strada del solo dialogo, senza far capire a Pristina che Belgrado è ancora pronta a combattere per il “cuore della Serbia”, «è un messaggio sbagliato», ha concluso Dacic, perché solo «un equilibrio del terrore», come quello stabilitosi tra Usa e Urss durante la Guerra Fredda, può mantenere in equilibrio la sicurezza nella regione.
La più appropriata reazione alla provocazione di Dacic è arrivata dai suoi alleati nell’attuale maggioranza, i Democratici del presidente Tadic. «La Serbia non può permettersi il lusso di perdere un’altra generazione in guerra. Le nostre armi devono essere oggi l’intelligenza e la diplomazia», ha ribattuto la numero due del partito, Jelena Trivan. «Più si avvicinano le elezioni, più Dacic ricorda il sé stesso degli Anni Novanta, quando era il portavoce di Milosevic. A questo punto, sembra che la sua dichiarazione abbia più a che vedere con la campagna elettorale del suo partito. Nondimeno, non posso escludere del tutto la possibilità che qualche figura di spicco in Serbia, come Dacic, possa in futuro contemplare la guerra come un’opzione», spiega invece l’analista politico Milan Marinkovic.
Nel frattempo, il Nord del Kosovo continua a fremere. Nella notte di ieri, un contingente misto portoghese-ungherese della Nato, che aveva tentato di rimuovere una barricata nei pressi di Mitrovica, ha incontrato la durissima resistenza dei serbi. Negli scontri, durante i quali la Nato ha usato in abbondanza lacrimogeni, 19 soldati dell’Alleanza sono rimasti leggermente feriti dai gas e dai sassi lanciati dai serbi. Più gravi, secondo il portavoce della missione militare in Kosovo (Kfor), Uwe Nowicki, le condizioni di altri due militari, di cui uno investito da un camion. La Kfor, dopo un’ora e mezza di battaglia, si è poi ritirata per «evitare un’escalation» della violenza, ha glossato Nowicki. Ma nella notte, a conferma della tensione crescente, una forte deflagrazione ha scosso la parte serba di Mitrovica, la città divisa in due tra serbi e albanesi. Nessuna vittima, ma due auto sono saltate in aria.
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