Belgrado, Skopje e Tirana: patto a tre per far nascere la “mini Schengen”

BELGRADO. Fare da soli, senza aspettare interventi dall’esterno o “tutori” - leggi Bruxelles - a guidare e sorvegliare idee e processi. È la strada che sembrano aver imboccato con decisione tre Paesi balcanici spesso in rotta di collisione – Serbia, Macedonia del Nord e Albania - ora in apparente sintonia. Sintonia che riguarda la prossima creazione di una sorta di “piccola Schengen” fra Paesi della regione ancora extra Ue: il tema è stato ieri al centro di discussioni a Novi Sad, in Serbia. Nella città sul Danubio, a fare significativi passi avanti nell’ambizioso progetto sono stati il padrone di casa e ideatore dell’iniziativa, il presidente serbo Aleksandar Vučić, e i premier di Tirana e Skopje, Edi Rama e Zoran Zaev.
Vučić, Rama e Zaev hanno siglato infatti una “Dichiarazione congiunta” che spiana la strada alla creazione di qualche cosa di simile all’area Schengen. Una Schengen balcanica che sarà basata su quattro pilastri, già alla base dell’Unione europea, ossia «libertà di movimento delle merci, dei capitali, dei servizi e delle persone», ha spiegato lo stesso Vučić, fautore dell’idea di un «mercato unico» o unione doganale nei Balcani già da lui lanciata nel 2016, con un progetto poi sostenuto anche dai leader dei Paesi balcanici al vertice di Trieste del 2017, ma rimasto lettera morta per troppo tempo, almeno fino a Novi Sad.
Quanto dovrebbe nascere fra i tre Paesi balcanici – che aspirano tutti a entrare nella Ue, ma con tempistiche forse troppo lente per i candidati – è qualcosa di «estremamente importante», anzi di «rivoluzionario», pensato «per il bene dei cittadini» comuni e delle imprese, ha assicurato ieri Vučić evocando un’area economica unica, con un mercato da 20 milioni di consumatori, con meno barriere doganali – da abbattere o ridurre ai minimi in breve tempo - e dove entro il 2021 la gente possa viaggiare «solo con la carta d’identità», e le merci circolare senza rimanere bloccate per ore, spesso giorni, alle frontiere.
Le dogane sono uno dei problemi-chiave dei Balcani, area dove gli autotrasportatori «perdono 26 milioni di ore all’anno» fermi alle dogane, aveva calcolato il ministro del Commercio serbo, Rasim Ljajić, con un danno stimato da Belgrado in 800 milioni di euro all’anno per l’intera regione, tra spese per lo sdoganamento e tempi d’attesa infiniti. La “mini-Schengen” dovrebbe risolvere parte dei problemi esistenti. Il progetto in fieri vedrà «misure più concrete» sul tavolo in un nuovo vertice a Ocrida, il 10 novembre, ha anticipato Vučić ribadendo che le porte dell’iniziativa sono aperte anche alle altre capitali della regione ancora fuori dalla Ue, in testa Podgorica e Sarajevo.
Sulla stessa linea gli altri apripista protagonisti a Novi Sad. «Abbiamo la possibilità di comprendere che possiamo fare di più e che non dobbiamo aspettare l’aiuto di altri», ha sottolineato il premier albanese Rama, con chiaro riferimento alla Ue che ritarda da tempo l’apertura dei negoziati con Tirana. Non servono «tutor» per fare passi concreti verso il progresso, ha suggerito Vučić alla vigilia del summit. Molto positivo pure il premier Zaev. È stato fatto un primo passo che permetterà in un futuro non lontano ai Balcani «di essere più rispettati nel mondo, più concorrenziali e attraenti per gli investitori stranieri». E non più «una Santabarbara», come in un passato non troppo lontano.
Riproduzione riservata © Il Piccolo