Bimbi spariti, il racconto-choc che riaccende le speranze

BELGRADO. Dopo tanti anni, una conferma credibile. Che indirettamente alimenta le speranze di migliaia di genitori disperati, ma non rassegnati. La conferma che qualcosa di vero nell’inquietante storia dei neonati scomparsi in ospedali jugoslavi tra gli Anni ’70 e i ’90, soprattutto in Serbia ma con casi denunciati anche in Bosnia, Montenegro, Macedonia. Ai genitori fu detto che i figli erano morti dopo la nascita, ma i loro corpi non furono mai mostrati né riconsegnati a madri e padri per dar loro sepoltura. Perciò ancora oggi quei genitori sostengono che i loro bebè non siano deceduti, ma dati illegalmente in adozione o venduti all’estero da medici e infermieri compiacenti.
E ora arriva il racconto di Marko Ivić, originario dell’ex Jugoslavia, emigrato in Germania da più di 40 anni. L’uomo ha svelato il suo “collegamento” con il caso dapprima a media serbi, poi all’autorevole Deutsche Welle, evocando una giornata del lontano 1988 all’ospedale Zvezdara di Belgrado. «Scegli», disse quel giorno un medico a Ivić, indicando le culle nel reparto neonatale. Reparto dove l’uomo, un po’ ingenuamente, era giunto su consiglio di un misterioso intermediario che lo aveva accalappiato dopo che Ivić aveva confessato che lui e la moglie volevano «adottare un bambino abbandonato in un orfanotrofio».
Ci sono soluzioni migliori, aveva suggerito il mediatore, conducendo Ivić nella capitale. Alla clinica di Zvezdara Ivić fu pure edotto sulle tariffe: «Per un neonato 10 mila marchi, se volete dei gemelli sono 15 mila», l’informazione di un medico, che lo tranquillizzò minimizzando i rischi dell’operazione. Questa la denuncia di Ivić, che ha avuto forte eco in Serbia. «Tutti i documenti saranno cambiati per far risultare che tua moglie ha partorito» il bambino prescelto, assicurarono le persone coinvolte nell’affare, che si spinsero fino a chiedergli di pubblicizzare il mercato dei neonati «a tedeschi o ai nostri in Germania». «Ero però conscio che non era una cosa giusta e me ne sono andato», ha spiegato l’uomo.
Perché Ivić ha parlato solo ora? «In Germania ci piace guardare i nostri canali Tv, abbiamo visto un programma su una delle associazioni dei neonati scomparsi in Serbia e ho detto a mia moglie: Ana mia, potevamo essere noi, fra i compratori», fra i complici di un crimine. Da qui la decisione di parlarne pubblicamente. Ma non prima di una visita a Belgrado, per dare la propria disponibilità giurata a una fra le associazioni a testimoniare in tribunale, se dovesse servire.
E probabilmente servirà, dato che sono almeno 1.500 le denunce – solo in Serbia - presentate a polizia e tribunali da genitori che cercano i loro bebè scomparsi, ha segnalato la Deutsche Welle, ma in passato si è parlato di 6-10.000 casi sospetti in tutta la regione. Tante sono anche le testimonianze sui social, sulle pagine delle varie associazioni, dove si legge di mamme che preparano «la torta di compleanno» ogni anno per un neonato sparito o postano le foto dei braccialetti ospedalieri che furono loro riconsegnati dopo la dichiarazione di decesso. «Li ho da 27 anni e sono continuamente con me e cercherò per sempre chi li portava, non smetterò mai», scrive una donna.
Nel frattempo, in autunno a Belgrado dovrebbe essere promulgata una attesissima, da anni, ma controversa legge sui neonati scomparsi e si parla anche della creazione di un database del Dna per favorire le ricerche. Magari i primi ritrovamenti.
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