Boniciolli: un patto di non belligeranza Cosolini-Monassi

L’ex presidente: «L’intesa tra Comune e Authority reggerà perchè poggia su più ragioni, anche elettorali»
Silvano Trieste 22/09/2009 Claudio Boniciolli
Silvano Trieste 22/09/2009 Claudio Boniciolli

di Paola Bolis

I primi passi compiuti dal sindaco Roberto Cosolini gli paiono positivi, ma sente «l’angoscia dei tempi stretti» per una città in cui non vede «segni di ripresa» bensì «una marginalizzazione sempre più marcata» quanto a collegamenti e a centri decisionali che si vanno spostando a Ovest, «tra Venezia e Mestre». Roma, dice, «non ha interesse per Trieste in quanto manca una strategia complessiva per il Paese: non ci sono solo gli investimenti di carattere finanziario, ma anche quelli di tipo politico». E qui anche la Regione è matrigna, «sempre più friulana». La fiducia nel nuovo governo c’è, se non altro perché costituito da «persone normalmente serie» succedute «alla banda del circo Togni, senza offesa per i circhi». Ma il futuro resta da costruire. Quanto all’Authority, che ha guidato da fine 2006 a fine 2010, Claudio Boniciolli rifiuta di parlare dell’amministrazione retta da Marina Monassi. Ma basta una frase a dirne il pensiero: «I media sono ammessi alla Torre del Lloyd per sapere cosa si fa lì dentro? Non lo sa nessuno. Ma la città ha il diritto di sapere».

Boniciolli, partiamo dal governo cittadino passato dal centrodestra di Dipiazza al centrosinistra di Cosolini. Cosa è cambiato?

Con Dipiazza ho lavorato molto bene per il nuovo Piano regolatore del porto che mancava da 50 anni. E ha attuato iniziative positive, come la riqualificazione del centro città. Ma il turismo può essere la via d’uscita dalla crisi? Assolutamente no. Insisto: la città è cresciuta con porto, armamento, industria. C’è stato l’innesto di ricerca e scienza, ma al di là di questo si vede poco. La città langue perché mancano quelle correnti migratorie che la fecero grande nell’ambito di una precisa volontà statuale dell’impero.

Da Dipiazza a Cosolini...

È cambiato lo stile. Cosolini sta rimettendo a posto la macchina comunale e riallacciando relazioni con altre città. Sinora c’è una certa continuità, anche se poi dipende dalla cultura e sensibilità degli uomini orientare i tentativi di rilancio nelle diverse direzioni. Ma in funzione di quale città? Rischiamo di diventare località di pensionati più o meno garantiti, ma con una scarsità di attività imprenditoriali imputabile essenzialmente allo scollegamento con il resto del Paese e con il retroterra.

Trieste non si è pianta addosso fin troppo?

Non dico di piangersi addosso, ma occorre capire quale sia il ruolo che i triestini sapranno trovare e che lo Stato, l’Italia per il cui ritorno a suo tempo gioimmo, saprà indicare. La cultura nazionale dimentica la Venezia Giulia, sostenuta in questo dalla Regione. E mi domando cosa faccia la pattuglia triestina in Consiglio. Il ruolo di Trieste viene costantemente ridimensionato. Se penso al porto - che Debora Serracchiani (eurodeputata Pd, ndr) ha definito regionale laddove è internazionale - è clamoroso. Cosa si fa ad esempio per potenziare le Ferrovie? Niente.

L’ad del gruppo Fs, Moretti, ha detto a Cosolini di non avere trovato in passato interlocutori a Trieste...

Non è vero. Moretti firmò con me e con Illy governatore un documento per il potenziamento dello scalo ferroviario di Campo Marzio e per la metropolitana leggera. Ma delle promesse di Moretti non si può assolutamente tenere conto: sensibile com’è agli orientamenti politici, ha seguito l’allora ministro Matteoli spostando le poche risorse sul porto di Livorno.

Adesso a Roma c’è Monti...

Sì, e il ministro Passera pare essersi impegnato per la Piattaforma logistica: spero non faccia come Matteoli, che pagliaccescamente annunciò più volte fondi mai giunti. Io in media andavo al Cipe ogni dieci giorni ma a parte l’ostilità politica - ero ritenuto giustamente di centrosinistra, se non addirittura un comunista rivoluzionario - i soldi non si sono mai visti.

L’Authority ha firmato un’intesa importante con il ministro dell’Ambiente Clini.

Conosco Clini da lungo tempo, è persona seria e preparata. Speriamo ce la possa fare, perché i ministri operano nel quadro di un’iniziativa generale di governo. E qui entrano in ballo anche le politiche regionali. Si vuole mettere Trieste contro Monfalcone? Ridicolo. Si parla di portualità regionale aggiungendo a Trieste Monfalcone e Porto Nogaro, che ha tutt’altra storia e destinazione? E ricordo che a febbraio saranno trascorsi due anni dal grande annuncio del progetto Unicredit che prevedibilmente - l’avevo detto - è ormai lettera morta.

Torniamo all’intesa: un buon punto di partenza?

Sì, e importante. Ma interlocutoria. Il ministero dovrebbe sblocccare il Piano regolatore del porto approvando la valutazione di impatto ambientale e strategico.

Cosolini ha osservato che l’intesa, con i project financing, porterà al coinvolgimento dei privati e alla cessazione della logica del «porto terra per pochi».

Certo, ma il porto ha finito di essere “per pochi” con il Piano regolatore. Che serve per non dovere più negoziare località e insediamenti col singolo operatore che detta le condizioni, da accettare o meno. Non che in precedenza non fossero capaci di redigere il Piano: non volevano farlo perché si negoziava. Questo è stato uno dei grandi problemi, assieme a quello del Sito inquinato la cui perimetrazione vasta è stata uno dei grandi errori di Dipiazza.

Intanto però il traffico container ha fatto superare il record del 2008.

Ciascuna Authority si ritaglia dentro l’andamento dei traffici delle capacità di iniziativa soprattutto quanto a infrastrutture. Il punto è cosa siamo pronti a fare in caso di ripresa. Trieste si sta ponendo in questa condizione? Pensiamo alle crociere. È di un anno fa l’acquisizione del 60% di Ttp da parte di Tami e non si è ancora giunti a un nuovo cda: malattia tipicamente triestina.

I motivi?

Probabilmente lotte di potere o volontà di controllo attraverso uomini di fede propria, che non possono non essere graditi a chi controlla il 60% della società. Ma il ruolo dell’Authority resta importante: e una stagione se n’è andata.

Parlavamo dei traffici a Trieste: Capodistria la supera.

Ma è l’unico porto di uno Stato sovrano. Sono bravi, ma ormai stiamo tutti nell’Ue: si sta ricostituendo un quadro di cui tenere conto. Occorre lavorare assieme, anche se ci sono addebiti specifici da parte di certo nazionalismo sloveno.

Trieste ha colto le opportunità di Schengen?

La Slovenia molto di più: qui si è continuato a ragionare in termini di stretta bottega sotto casa, laddove i porti sono luoghi di scambio. Dialogare con gli sloveni può essere facile o difficile, ma è necessario.

E la classe dirigente?

Manca, non c’è uno spirito forte cittadino. Che significa avere posizioni proprie e ferme, ma con la consapevolezza che per raggiungere determinati obiettivi serve un’intesa unitaria.

Fin qui, in tema di porto, si dice che la volontà di collaborazione istituzionale tra Cosolini e Monassi ci sia.

Ho solo qualche vaga notizia del Comitato portuale, che non esiste: si approva tutto, sedute brevi, senza discutere. L’intesa? Spero ci sia e ho molte ragioni, anche elettorali, per pensare che c’è stata e ci sarà.

Elettorali?

Le prese di posizione del senatore Camber contro Antonione, così come accadde a Illy con Alessandra Guerra, hanno oggettivamente agevolato Cosolini, che ha fruito dello scontro interno alla destra triestina.

E secondo lei dovrebbe pagare pegno?

Direi di no. Auspico comunque che la città sappia dialogare con il governo più che con le singole persone. A parte che con chi non c’è, come alcuni personaggi della politica triestina, non si può dialogare.

Lei presidente dell’Authority, nel 2010 fu affidata la concessione per Porto Vecchio. Ora si parla di residenzialità: che ne pensa?

Le foresterie erano state previste anche da noi, in quanto legate ad attività di ricerca, commerciali e industriali in porto. Non è facile, occorre vedere di che tipo di residenzialità parliamo. Certo andrà risolto il problema dei punti franchi. Anche qui dovranno entrare in gioco i ministeri di Ambiente, Infrastrutture ed Economia. Vogliamo dare un assetto definitivo all’area? Ridisegnare i punti franchi? Qualcuno continua a ragionare come se Porto vecchio potesse continuare a essere uno scalo attivo per tutti i tipi di traffici.

Ma sono ormai in pochi.

Ma sono insistenti.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © Il Piccolo