Bonifico sul conto sbagliato Processato per ricettazione

RONCHI DEI LEGIONARI. Finisce a processo per ricettazione, ma viene assolto. In primo grado e in Appello. È una vicenda per certi versi da rompicapo, quella vissuta da un ronchese, D.E., di 34 anni. Tutto risale al 2010. L’uomo s’era ritrovato, d’amblè, nel suo conto corrente postale circa 3.200 euro. Accreditatigli attraverso bonifico da un’impresa di Prato. Cosa avesse a che fare con quell’azienda, e quindi con quella ragguardevole somma “messagli in tasca”, era un mistero. Il ronchese la ditta non la conosceva proprio, né tantomeno il motivo per cui i soldi avevano viaggiato dalla Toscana per arricchire le sue sostanze economiche. Tuttavia, non aveva subito avviato i controlli, non s’era recato all’ufficio postale per avere contezza di cosa fosse accaduto, così come non s’era premurato nell’immediatezza di quello strano “regalo” ricevuto, di cercare di capire chi potesse essere stato il “benefattore”.
Un episodio quantomeno inedito, certo da non sottovalutare con i tempi che corrono e le truffe e raggiri in agguato. Nel frattempo il 34enne ronchese aveva ricevuto una telefonata. L’interlocutore, evidentemente ben a conoscenza della situazione, sostenendo di essere il legittimo beneficiario di quei soldi, era andato piuttosto sulle spicce, senza sbilanciarsi in particolari e ulteriori spiegazioni: «Dammi la somma che ti è stata accreditata per un errore, altrimenti ti denuncio». Sulla scorta dell’accampato diritto economico, l’uomo all’altro capo del cellulare aveva così concordato l’appuntamento con il ronchese per la consegna del denaro. Punto d’incontro l’aeroporto di Ronchi dei Legionari. Ma prima il 34enne doveva recuperare i soldi dal suo conto corrente. Non sicuramente in un’unica soluzione, per una somma del genere. Ci sono voluti più prelievi, contingentati dal vincolo di erogazione giornaliera. Quindi il passaggio del denaro allo scalo ronchese. L’uomo aveva rilasciato al giovane una sorta di “ricevuta”, un pezzo di carta informale, quindi privo di ogni valore certificativo, con tanto di nominativo e di numero di carta di identità, che comunque non aveva esibito. Tutto sembrava finito così. Una vicenda strana, ma comunque un errore al quale aver posto riparo.
Invece il 34enne è finito a processo, accusato di ricettazione. L’impresa toscana, rilevato l’ammanco aveva infatti presentato denuncia, non avendo eseguito quel bonifico che pure qualcuno aveva effettuato a carico della ditta completamente ignara. La Polizia postale aveva avviato le indagini, che l’avevano portata fino al ronchese. A quel punto era stato bloccato il conto corrente postale del giovane. Ma la somma s’era ormai volatilizzata, essendo finita nelle mani dell’asserito proprietario. La Procura di Gorizia aveva ipotizzato che il 34enne conoscesse la provenienza del denaro, quale provento di furto da parte di altri autori, e prelevando i contanti avesse contribuito al reato di ricettazione. Dal processo il ronchese ne era uscito incolume, assolto per non aver commesso il fatto. A dibattimento era emersa l’interlocuzione tra il giovane e il sedicente proprietario, le telefonate intercorse tra i due, i tabulati acquisiti dalla Procura a comprovarne l’esistenza. E la pseudo-ricevuta con i dati di identità risultati inesistenti. La Polizia postale non era riuscita a fornire elementi tali da minare l’attendibilità dell’imputato. Il legale difensore del 34enne, l’avvocato Massimo Bruno, aveva sostenuto che non c’erano elementi su cui fondare la conoscenza circa la provenienza delittuosa del denaro. Il giudice monocratico Frattolin alla fine aveva pronunciato la sentenza di assoluzione.
Sembrava finita lì, tutto chiarito. Invece il ronchese si era ritrovato davanti alla Corte d’Appello. La Procura generale di Trieste aveva impugnato la sentenza di primo grado, chiedendo sostanzialmente di accertare la verosimiglianza della versione fornita dal giovane. Siamo allo scorso venerdì, in aula a Trieste. La Procura generale ha chiesto una condanna a 2 anni di reclusione a carico del ronchese, per il reato di ricettazione, sostenendo che si fosse al limite dell’ipotesi di riciclaggio. L’avvocato Bruno ha sostenuto l’«impossibilità di una riforma della sentenza, in mancanza di qualche sopravvenuto elemento che potesse in qualche modo modificare il ragionamento del giudice di primo grado». Ma anche la Corte d’Appello ha assolto il ronchese.
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