Bosnia, riapre l’antica moschea distrutta dalla pulizia etnica

Risalente al 1549 è uno dei più alti esempi di architettura religiosa islamica nei Balcani

BELGRADO. Una vittoria su odio, barbarie e pulizia etnica. È quella messa a segno ieri a Foča, in Bosnia, dove davanti a migliaia di fedeli è stata riaperta la storica moschea Aladza, risalente al 1549, uno dei più alti esempi di architettura religiosa islamica nei Balcani. Assieme alle altre undici che con i loro minareti svettavano in città prima della guerra, la moschea fu rasa al suolo nell’estate del 1992. Le forze militari serbo-bosniache – come in tanti altri luoghi da “ripulire” dai bosgnacchi - la minarono alle fondamenta e poi, sulle rovine, in segno di disprezzo, scaricarono rifiuti e ruderi, per cancellarne per sempre la memoria. Non ci sono riusciti.

Dopo lavori di ricostruzione iniziati nel 2012 – con il contributo di Turchia e Usa – la moschea è tornata all’antico splendore, attraverso un lavoro metodico che ha portato i restauratori a recuperare persino i piani di costruzione custoditi negli archivi ottomani. E a ricercare le pietre gettate dai distruttori nelle discariche attorno alla città. Ieri la grande riapertura dell’edificio di culto patrimonio dell’Unesco, davanti a migliaia di persone, inclusi emigranti tornati dall’estero per ammirare la “moschea colorata”, così è nota per le ricche decorazioni.

Ma c’erano anche «molti amici ortodossi, venuti a visitare la moschea» simbolo di Foča «e a congratularsi», perché «ne sono orgogliosi quanto noi», ha spiegato Miralem Hodzić, imam di una città che prima del conflitto contava un 50% di popolazione bosgnacca. E che durante la guerra divenne sinonimo di pulizia etnica, tra massacri e persecuzioni di musulmani, stupri di guerra e il cambio di nome in “Srbinje”, per poi ravvedersi nel 2004. Ieri però è stato solo tempo di festa, per la riconsegna alla città di una moschea risalente a 470 anni fa che rimane «un messaggio di pace e tolleranza», ha dichiarato il sindaco di Foca, Radisav Masić. «Odio e razzismo possono fare danni materiali, ma non schiacciare una cultura secolare di coesistenza», ha rimarcato il ministro turco della Cultura, Mehmet Ersoy.

È «difficile esprimere con le parole la gioia e l’orgoglio che oggi riempie i cuori», ha confidato invece il membro bosgnacco della presidenza tripartita, Sefik Dzaferović. Con la riapertura della chiesa - così il capo della comunità islamica bosniaca Husein Kavazović - «abbiamo toccato con mano la speranza che la gente trovi ancora pace in questo luogo». E in tutta la Bosnia. —

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