Buzzin tra i Nenets a 40 gradi sotto zero

CORMONS. Nenets? Sono abituati a dormire la notte a 40 gradi sotto zero in una tenda che alla sua estremità superiore è aperta per permettere l’uscita del fumo del fuoco acceso le cui braci, però, si spengono poco dopo essersi coricati». Sono abituati dunque a passare le notti nel gelo più completo, «ma sono ovviamente vestiti pesantemente quando dormono: non potrebbe essere altrimenti». Quella delle notti all’addiaccio è solo una delle particolarità che contraddistinguono la popolazione nomade, composta da un paio di migliaia di persone, che l’esploratore cormonese Adalberto Buzzin ha conosciuto in prima persona nel corso della sua ultima spedizione in Siberia: stavolta, a essere toccata, è stata la punta più a nord dell’immensa distesa di ghiaccio. È lì che vive la popolazione nomade che ha incuriosito Buzzin, accompagnato in quest’avventura da un amico russo. «Io stesso ho pernottato con loro per una notte: posso assicurare che, per noi che non siamo abituati, dormire in quelle condizioni è difficilissimo. Ho pensato: io resto qui solo due giorni e poi torno alle comodità della vita occidentale, ma loro come fanno a resistere qui? La risposta è semplice: per un popolo come loro dedito da sempre al nomadismo e alla vita nella tundra, sarebbe paradossalmente deleterio il contrario. Lo Stato russo infatti mette a disposizione dei Nenets degli appartamenti, ma loro non ne vogliono sapere: «Cosa ci facciamo in una casa se non sappiamo usare nessun elettrodomestico?», è la loro genuina risposta quando gli chiedi perché non accettano la proposta del governo russo». Coi Nenets vive comunque l’animale domestico più diffuso: “Hanno dei cagnolini che fanno loro compagnia. La notte, però, li fanno dormire all’aperto: ho chiesto loro se non fosse il caso di costruire loro delle cucce con cui ripararsi un minimo dal gelo. Risposta: no, sono abituati». Condizioni così estreme impongono anche scelte alimentari ristrettissime: «Mangiano solo carne di renna, che loro allevano con numeri molto elevati, e una minestra di licheni che è del tutto insapore. Altro, a quelle latitudini, non hanno: è anche per questo che la vita media di un Nenet si aggira attorno ai 50 anni». Lontani dai lussi, non hanno infatti alcun mezzo di comunicazione con il mondo sviluppato: «Quando sono arrivato lì dopo 120 chilometri di slitta trainata da renne - aggiunge Buzzin – pensavo di trovare almeno un generatore di corrente: nulla di nulla invece, non sanno nemmeno cosa sia l’elettricità. Telefonini? Non scherziamo». E così l’unico modo per essere in contatto con il resto del mondo è il passaparola: «Erano stati avvertiti da un Nenet civilizzato, che fa la spola tra la loro tribù e la città più vicina, del nostro arrivo – continua Buzzin – ma ci vogliono ore di viaggio trainati in un deserto di neve per arrivare da loro. Insomma, non è semplice».
Adalberto comunque da quest’esperienza estrema si porta a casa un obiettivo: «Mi piacerebbe organizzare una spedizione di fuoristrada che cavalchi quei ghiacci – dice – ora, tornato a casa, scriverò un articolo per una rivista specializzata in cui lancerò l’idea: servono però soldi e mezzi attrezzatissimi, perché a quelle latitudini la tundra, altrimenti, non perdona».(m.f.)
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