«Cantieri culturali e lavori fai da te»

Secondo stime ufficiose del Sunia, il sindacato degli inquilini, a Trieste ci sarebbero circa 11mila alloggi sfitti tra pubblici e privati. Cercare di recuperarne il più possibile «significa incentivare l’occupazione in un settore in crisi come quello dell’edilizia», commenta Giorgio Uboni, referente per ambiente, territorio e casa della Cgil. Una delle vie indicate dal sindacato è quella del cosiddetto “auto-recupero”, anche per gli alloggi di edilizia popolare. «Abbiamo accolto con favore la decisione del Piano regolatore della giunta Cosolini per arginare il consumo di suolo e recuperare il ricco patrimonio esistente. Il valore è dato anche dall’auto-recupero da parte dell’inquilino disposto a fare lavori di piccola manutenzione in mancanza di fondi pubblici». Scorrendo la lista fornita dal comune, Uboni e Renato Kneipp, commissario provinciale del Sunia, si domandano quali sono i criteri dietro alla scelta di vendere alcuni asset come l’ex Meccanografico o la Don Marzari. «Non siamo contrari alla vendita in sè: l’importante è che il Comune sappia quanto è possibile ricavare da ciascun immobile ma soprattutto come utilizzare poi questo denaro: una parte andrebbe investita nella ristrutturazione degli alloggi», commenta Kneipp.
La proposta dell’auto-recupero trova sponda anche nell’Accademia, ma ricordando che «è sempre un po’ complicato in quanto qualsiasi impianto deve essere poi certificato», come riflette Alessandra Marin, docente della Facoltà di Architettura di Trieste e specialista in materia di imprenditorialità, residenzialità e rigenerazione dei centri urbani. Secondo la studiosa il modello vincente è quello della partnership pubblico-privato: cita infatti il caso del Vega, il Parco Scientifico Tecnologico di Porto Marghera in cui era presente «attore pubblico forte che ha lavorato in sinergia con altri attori privati»; oppure la capacità di attrarre fondi privati da parte della Ca’ Foscari nello sviluppo del suo polo sulla terraferma; o, ancora, processi “bottom-up” per riqualificare il patrimonio dei centri storici a partire da una prima fase di trasformazione promossa dalle associazioni territoriali. L’esempio è quello dei Cantieri Culturali della Zisa a Palermo che porterà alla bonifica e alla ristrutturazione di tre capannoni trasformati in un avamposto della cultura ambientale siciliana. Anche la professoressa Marin, così come l’ingegnere Milan, scommette sul modello della concessione di valorizzazione, menzionando a proposito il progetto Valore Paese Fari che punta alla promozione di una rete nazionale dedicata ad una forma di turismo sostenibile legata alla cultura del mare. «La nostra università lavora con l’Agenzia del Demanio per stilare bandi di affidamento con questa formula: così facendo i patrimoni non vengono alienati ma concessi purché valorizzati in una determinata maniera».(l.m.m.)
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