Capodistria, via al Museo della Comunità italiana

In partenza la ristrutturazione totale di un edificio destinato a contenitore culturale. Fondi dall’Unione europea



Il palazzo adiacente a palazzo Gravisi a Capodistria, dove ha sede la Comunità degli italiani, è stato completamente sventrato e demolito dalle ruspe. Adesso prenderà il via il lavoro del gruppo di archeologi che, per conto della Sovrintendenza della cultura e delle belle arti della Slovenia, effettueranno degli scavi di monitoraggio con l’obiettivo di verificare se nel sito sono presenti reperti storici di rilievo. Successivamente prenderà il via la costruzione di quello che sarà il Museo della Comunità italiana.

L’infrastruttura è stata pensata e progettata in modo moderno e multimediale, con l'obiettivo di attirare molti visitatori e valorizzare in questo modo la presenza della minoranza italiana in questa regione.

La ristrutturazione del palazzo avviene sotto l'egida del progetto Primis, che si occupa del paesaggio culturale e architettonico lungo il confine attraverso il prisma delle minoranze. Il tutto si inserisce nel programma di cooperazione Interreg Italia-Slovenia, finanziato dal Fondo europeo di sviluppo regionale.

L'Unione Italiana, organo rappresentativo della minoranza in Slovenia e Croazia, ha ricevuto 695.000 euro di aiuti finanziari dall'Unione europea per gli investimenti da effettuare e, in cooperazione con la Comunità italiana e lo Stato italiano, sono stati messi a disposizione per la realizzazione del progetto ulteriori 123.000 euro.

I resti dell'ex palazzo distrutto dall'incendio furono acquistati circa sedici anni fa dall'Unione italiana, che li comprò dalla Chiesa avventista. Se tutto procederà come previsto, il palazzo potrebbe essere restaurato nel giro di due o tre anni di lavori per poter poi essere fruibile dal pubblico e diventare - almeno così sperano i vertici dell’Unione Italiana - una delle attrazioni culturali di richiamo turistico per la città di Capodistria.

Il futuro Museo costituirà comunque una prima assoluta per la minoranza, che potrà così raccogliere la sua storia in un contenitore culturale degno della sua tradizione millenaria nell’area; e diventerà, contemporaneamente, anche uno strumento didattico importante in chiave di conservazione della memoria a disposizione delle future generazioni. —



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