Carlo Cracco: «A casa preparo quello che capita»
GORIZIA. Per non parlare dell'allure sexy-glamour cavalcata dalle riviste più patinate: come scordare la sua copertina di GQ con una modella nuda, avvinghiata a lui in smoking stringendo un'enorme orata. Circondati come siamo da MasterChef Junior, cuochi e fiamme, piatti del commissario Montalbano reinterpretati e cucine segrete, una certa saturazione potrebbe sembrare in agguato. Ma la tendenza non sembra subire battute d'arresto, tutt'altro.
Cracco, è notizia recente che le iscrizioni alle scuole alberghiere stanno insidiando quelle ai licei scientifici tradizionalmente in vetta alla classifica degli istituti più gettonati, che ne pensa di questo boom?
«E sottolineo che è così in tutto il mondo: se vai in Francia, se vai in Spagna, trovi questa situazione. Se vai ovunque e fino in India ti accorgi e tocchi con mano di come la cucina sia diventata una cosa importantissima, ovunque e a tutte le latitudini. Noi certamente l'abbiamo fatta esplodere. È qualcosa che funziona, che rende, e che fa anche bene. In più c'è multiculturalità, c'è apertura: per cui, avercene, e magari possa continuare a diffondersi così!».
Chi l'ha iniziata verso questa strada? Esiste una persona particolare che le ha instillato questa passione?
«È stata mia sorella, all'inizio, essendo lei più grande di me, a spingermi a conoscere, a capire un po' di più per poi riuscire ad imboccare una strada. Conta anche il fatto che erano tempi diversi, ovviamente. In famiglia si parlava e si diceva “Prova e vai!”, senza tanti patemi: c'era forse un po' di semplicità in più, magari si approfondiva di meno, ma era difficile sbagliare completamente strada».
È la sua prima volta da questa parti?
«Non proprio. Ci sono passato per il mio lavoro ma soprattutto a Trieste ho fatto due mesi di militare: ho un ricordo particolare perchè era la grande nevicata dell'85, noi eravamo in treno e ci hanno bloccato in mezzo ai binari causa maltempo. Siamo rimasti fermi tutta la notte e rientrati in caserma appena il mattino dopo. Ricordo un inverno rigido e in generale un freddo boia. Anche perchè eravamo di stanza a Villa Opicina, credo uno dei luoghi più freddi della zona. E non poteva mancare, ovviamente, la bora».
Piatto che ama di più in assoluto.
«Direi l'uovo».
Ingrediente che non può soffrire.
«Purtroppo ho una grande pazienza, perciò devo dire che soffro proprio tutto!».
Cosa cucina in casa ai suoi figli?
«Quello che capita, dalla verdura, che non mangiano molto volentieri, a pesce, carne e pasta, che trovano in abbondanza sulla nostra tavola e che invece mangiano tanto».
Il piatto più afrodisiaco che ha preparato?
«Nessuno: non cucino piatti afrodisiaci, non m'interessano queste cose, mi sembra una stronzata. Faccio solo piatti buoni e basta».
È mai capitato che nei suoi ristoranti sia “rientrato” dalla sala un piatto non apprezzato? E se sì, cosa ha pensato o risposto?
«Certo che mi è capitato. Sono cose che possono succedere facendo il nostro lavoro, e quando è accaduto non ho detto niente: inutile stare lì a farsi pippe mentali, a sindacare, non ha alcun senso, io sono uno terra terra, o pragmatico come dice lei. Soprattutto sono uno che continua a pensare che il cliente ha sempre ragione».
Come vede il futuro della cucina moderna, dal momento che sembra si sia sperimentato ormai tutto o quasi nei vari programmi tv, libri, dvd, riviste per un susseguirsi di ricette, abbinamenti e presentazioni sempre più particolari. Arrivati a un punto di saturazione, che scenario si potrebbe aprire nel vostro campo?
«Lo scenario che si potrebbe aprire è secondo me quello di recuperare sempre più la biodiversità dei prodotti del nostro territorio e il contatto diretto con chi li produce. Credo sia fondamentale operare una scelta che implichi questo recupero, e di sviluppare una cucina legata, più che alle tecniche, sempre più ai prodotti. Più che limitarmi a crederlo, sono sicuro che si andrà in questo verso e che sarà questo il futuro».
Pensando anche ad alcuni suoi imitatori, sembra che anche in questa professione, che non concepisce più il “nascondersi" dietro ai fornelli, ora conti l’aspetto fisico, lo charme, il fascino. Non è un limite alla bravura e alla fantasia?
«Non sono d'accordo, credo che l'aspetto non centri nulla: non è che se mia mamma mi ha fatto bello automaticamente avrò un futuro in questo campo. È vero che ci sono personaggi che campano su di te personaggio pubblico, ma ciò che conta è altro e se sei davvero bravo limiti non ne vedo».
La cucina è come la moda? Ci sono corsi e ricorsi anche nei piatti?
«Penso siano due cose così completamente differenti e distanti da non poter metterle vicino. Se mi vesto male, non sto male, ma se mangio male sì. La cucina è un fatto di sostanza, la moda no».
Chi è più cattivo, Carlo Cracco o Gordon Ramsey?
«Assolutamente nessuno dei due! Siamo solo due professionisti che fanno il loro lavoro. E non penso affatto che la severità nei giudizi di questi format possa scoraggiare gli aspiranti chef: poi se così fosse non ci sarebbe questo boom cui accennavamo prima. In ogni cucina ci sono delle sfuriate, ed è una cosa perfettamente normale: sono sfuriate che hanno la durata di qualche secondo ed è finita lì. È ovvio che con i tempi della tv qualche secondo debba dilatarsi per qualche minuto, sono semplici esigenze televisive e non ha nulla a che fare con la serietà e la professionalità che mettiamo nel nostro lavoro».
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