Case ex Gma, 880mila euro agli inquilini

Sentenza della Cassazione a favore delle famiglie di via Margherita: troppo alti gli affitti imposti dall’ex Provincia
Il primo round del braccio di ferro sull’annosa vicenda delle case di via Margherita va agli inquilini. Dopo anni di battaglie in Tribunale, una sentenza della Corte di Cassazione ha stabilito che l’ex Provincia, che rivendica sia la proprietà degli immobili che l’ammontare delle quote di affitto richieste agli occupanti, dovrà sborsare ben 880mila euro per una quarantina di famiglie che abitano ai civici 4, 4/1, 4/2 e 4/3. Sono circa 30mila euro a testa.


Si tratta delle locazioni che l’ente pubblico ha incassato dal 1978 applicando un affitto ritenuto illegittimo: di fatto superiore a quanto dovuto abitualmente per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica. Secondo la Cassazione andava imposto, invece, il canone sociale. Di qui la richiesta di restituzione delle differenza.


Le palazzine di via Margherita sono quattro in tutto, costruite dopo la Seconda guerra mondiale con il contributo del Governo militare alleato, per un totale di 40 appartamenti. La disputa giudiziale però va ben oltre: vede da un lato l’ex Provincia di Trieste (le competenze sono passate alla Regione), che si ritiene proprietaria degli immobili, e dall’altro gli attuali condomini che, con accurate ricerche tra vecchi documenti e norme, tentano di dimostrare che all’ex ente spetta solo un ruolo puramente amministrativo. Il botta e riposta si è finora protratto a colpi di ricorsi e controricorsi. Ma sugli affitti, intanto, i condomini possono cantar vittoria.


È sulla proprietà che la partita resta aperta. Le case erano state costruite nel 1952, come detto, con un contributo a fondo perduto concesso dal Governo militare alleato a una cooperativa edilizia tra dipendenti dell’amministrazione provinciale. La Provincia sostiene, invece, che quel contributo non è stato dato alla cooperativa, bensì all’ente stesso. E così si è intestata la proprietà immobiliare. Ma nel ’52, stando agli accertamenti sui documenti, gli inquilini (tutti dipendenti della Provincia e appartenenti alla cooperativa edilizia) hanno firmato un contratto di locazione, approvato dal Gma, che prevedeva un «patto di futura vendita». Le case, che costavano 85 milioni di lire in tutto, andavano così saldate: il Governo militare assegnava 52 milioni, mentre i restanti 33 milioni sarebbero stati pagati dalle famiglie con l’affitto, che infatti conteneva il mutuo.


Lo scontro si è giocato proprio su questo aspetto: carte alla mano, le persone si sono sempre battute sostenendo che l’affitto richiesto includeva pure quel patto di «futura vendita». Tradotto: dopo aver saldato l’ultima rata, quella del 2002, chi vive negli alloggi sarebbe potuto diventare a tutti gli effetti il possessore dei palazzi. Una versione che però, come emerso, la Provincia ha sempre respinto.


Quello della proprietà è un nodo ancora da sciogliere in Tribunale. Risolto, invece, il problema dell’affitto con la sentenza della Cassazione che dà diritto alla restituzione dell’eccedenza che i condomini hanno sborsato fino a oggi.


«Ma - obietta Bruno Zonch, presidente del Comitato degli inquilini - è importante che venga stabilito che quanto richiesto non è solo un “canone sociale”, ma è un “canone con patto di futura vendita” e questo - precisa - implica la proprietà. Perché chi paga un mutuo è, ovviamente, anche proprietario. Io ho reperito una serie di documenti all’Archivio di Stato in cui si conferma che la Provincia finora ha detto di tutto e il contrario di tutto. Ora però sembra che possiamo incassare la cifra dovuta, quella pagata in più».


Ma la battaglia più importante, su chi potrà intestarsi gli immobili, è sempre in corso. E si trascina da trent’anni. «Ora ricorriamo al Consiglio di Stato - conclude il presidente del Comitato - anche se adesso c’è un ulteriore problema: la Provincia è stata abolita e gli immobili sono passati alla Regione. Che, a sua volta, li ha dati all’Ater. Chi pagherà? Chi è il proprietario?».


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