Caso Cecchini, l’ennesima sfida di Deganutti

Il fondatore del Pot: «Pronto a parlare ma con i magistrati che sceglierò io». Inchiesta in un vicolo cieco

La sua “verità” sull’omicidio dell’assessore socialista Eraldo Cecchini dell’aprile ’91 in cambio di qualcosa, e il primo pensiero che viene naturale è che questo qualcosa sia uno sconto sul suo cumulo di pene, ma potrebbe pure essere una pista sbagliata. Criptica è la “contropartita”, una cosa invece è certa: Gerardo Deganutti insiste per trattare. E per trattare solo «con i magistrati voluti da me», come scrive in un’altra lettera, l’ennesima, fatta recapitare al Piccolo nei giorni scorsi. «Parlo solo in presenza di un accordo scritto», «patti chiari amicizia lunga», «mettiamolo nero su bianco». Una raffica di dichiarazioni a metà tra la sfida al potere e il rilancio del suo “gioco” d’azzardo gli sarebbe stata in effetti sentita proferire la scorsa settimana, nella sala degli interrogatori dentro il carcere del Coroneo, quando davanti a lui, alla presenza del suo storico difensore, l’avvocato Giovanni Di Lullo, s’è materializzata la figura di un ufficiale giudiziario, delegato all’interrogatorio stesso dal pm Massimo De Bortoli, titolare del fascicolo d’inchiesta a carico di Deganutti per omicidio proprio nell’ambito del caso Cecchini, assassinio per il quale all’epoca fu condannato esclusivamente l’accoltellatore Luigi Del Savio, al secolo “Gino Cugno”.

Poche frasi dunque - e per nulla risolutive, anzi - quelle che il fondatore del Pot, il movimento Prima organizzazione triestina, ha premesso al Coroneo prima di avvalersi della facoltà di non rispondere, limitandosi infine - da quanto si è appreso - a consegnare all’ufficiale giudiziario alcuni fogli di carta, una sorta di “memoria” affinché finissero in Procura. Che Deganutti avesse deciso nella circostanza di non parlare a prescindere lo si evince dal fatto che l’interrogatorio è avvenuto martedì 13 ottobre mentre l’ultima sua missiva al Piccolo è datata, e pure protocollata dal carcere, 12 ottobre. È altamente presumibile dunque che lui non sapesse affatto alla vigilia dell’incontro se il pm De Bortoli sarebbe venuto o meno, ma che avesse già optato per il silenzio. E per il rilancio. «Ho rifiutato di rispondere alle domande - si legge in questa lettera da “cortocircuito” temporale - se non con i magistrati voluti da me».

«Come mai io non ne sapevo alcunché, delle indagini?», si chiede Deganutti riferendosi evidentemente al fascicolo che lo riguarda, prima di chiosare: «Non c’è nulla da indagare, ho chiesto una trattativa e basta, altrimenti si chiude, non c’è niente da scoprire, la proroga (delle indagini in corso, ndr) lo dimostra! Posso venir creduto o no. “Do ut des”. Sono stato chiaro. Inutile cercare altrove». A una settimana di distanza dall’interrogatorio andato a vuoto sono gli ultimi “aggiornamenti” di un’inchiesta che però, vista e considerata la piega che sta prendendo, potrebbe anche essere chiusa. Archiviata in silenzio così come, in silenzio, s’era aperta.(pi.ra.)

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