Caso Cecchini, sul Piccolo la graphic novel sull’omicidio dell’assessore di Trieste avvenuto nel 1991

TRIESTE. «Una sola coltellata alla schiena. Un colpo terribile inferto con estrema violenza dall’alto verso il basso. La lama è passata a un paio di centimetri dalla spina dorsale e ha raggiunto il cuore».
Così Il Piccolo, nell’edizione del 25 aprile del 1991, nelle prime righe di un lungo articolo firmato da Claudio Ernè, raccontava dell’efferato omicidio di Eraldo Cecchini, l’assessore comunale all’Urbanistica. eletto nelle liste del Psi e assassinato alle 8 del mattino del giorno precedente in via San Cilino, nel rione di San Giovanni.

Un omicidio che segnò la città
Una pagina di cronaca nera che allora segnò la città, e che nell’edizione di mercoledì sarà ripercorsa in una graphic novel che l’illustratore Max Calò ha disegnato e raccontato per il quotidiano.
Tornando al mattino del 24 aprile di 33 anni fa, Cecchini stava sistemando il suo camper prima di partire per una vacanza. Il suo assassino l’aveva colpito alle spalle. L’assessore, dopo aver percorso barcollando pochi metri, era stramazzato al suolo, sul marciapiede. Così l’avevano rinvenuto gli uomini della Volante.

L’assassino Del Savio, detto “Gino Cugno”
A pochi metri, seduto sul muretto dell’ex deposito Act, c’era invece il 40enne Luigi Del Savio, detto “Gino cugno”, l’assassino. Un omone di un metro e 90 centimetri d’altezza e 120 chili di peso, che teneva ancora in mano il coltello insanguinato. Con quell’arma aveva cercato di colpire anche l’agente Salvatore Orsini. Il poliziotto, per difendersi, aveva esploso due colpi di pistola, ferendo Del Savio a una gamba.
A coordinare le indagini era stato l’attuale procuratore capo di Trieste Antonio De Nicolo, allora sostituto procuratore. La vicenda fin dall’inizio era stata condizionata dalla personalità dell’assassino: assistito da un centro di salute mentale, protagonista di diverse aggressioni, di altri due accoltellamenti, che dopo anni di disoccupazione aveva trovato lavoro come facchino tra le bancarelle del mercato di Ponterosso.
Una figura complessa, violenta
Una figura complessa, violenta, come avevano testimoniato ai poliziotti sia gli inquilini di via Capofonte 31, dove Del Savio abitava, che gli ex colleghi del cimitero di Sant’Anna, dove l’uomo aveva lavorato come affossatore. L’ipotesi sul tavolo degli inquirenti era che ad armare la mano di “Gino cugno” fosse stato un rancore sordo che l’uomo covava contro l’Istituto della case popolare (Iacp), di cui Cecchini era funzionario. L’altra chiave di lettura dell’omicidio, prendeva in considerazione il fatto che l’assessore avesse deciso di chiudere al traffico alcune vie del centro. I commercianti si ritenevano penalizzati: un clima che poteva aver condizionato una mente non equilibrata come quella di Del Savio.
Un torto subito da Del Savio dallo Iacp diretto da Cecchini
«La pista di un preteso torto subito da Del Savio dallo Iacp di cui Cecchini era dirigente, non esiste – aveva sostenuto in aula l’avvocato Giorgio Borean, difensore delle figlie e della compagna di vita dell'assessore ucciso – perché da due anni “Gino cugno” non si faceva vivo con l'istituto per reclamare un alloggio migliore di quello assegnatogli in via Capofonte. Non aveva mai contattato Cecchini. Chi calca la mano sulla tesi dell’omicidio psichiatrico tende a depistare. Non scarichiamo colpe di altri sulla legge 180».
Il “delitto di un matto”
Del Savio alla fine era stato condannato a 21 anni di carcere, ottenendo lo sconto di pena perché affetto da seminfermità mentale.
Quel caso archiviato alla voce “delitto di un matto”, dopo 24 anni, dopo che nel 2001 Del Savio se l’era portato via un cancro, venne riaperto. Quando Gerardo Deganutti, il sedicente capo del Pot – l’organizzazione di cui “Gino cugno” era simpatizzate – aveva promesso alla giustizia una sua “verità” sull'omicidio Cecchini, in cambio di qualcosa. Ma dopo due mesi, durante i quali era stato interrogato dal pm Massimo De Bortoli, il gip Giorgio Nicoli aveva scritto la parola fine sull'inchiesta. E quello di Cecchini restò così il “delitto di un matto”. –
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