Caso Rasman, condannati i poliziotti
Sei mesi a tre agenti della volante. Dovranno versare 60 mila euro alla famiglia. Assolta la poliziotta che completava la pattuglia

Riccardo Rasman
Hanno sbagliato e il loro errore ha provocato la morte di Riccardo Rasman, il giovane di 34 anni stroncato da un collasso cardiocircolatorio nel suo monolocale di via Grego 38, a Borgo San Sergio. Era il 27 ottobre 2006 e ieri il giudice Enzo Truncellito ha condannato con rito abbreviato a sei mesi di carcere tre dei quattro agenti della «volante» che avevano fatto irruzione nel piccolo appartamento. Erano accusati di omicidio colposo. Il capopattuglia Mauro Miraz e i suoi colleghi Maurizio Mis e Giuseppe De Biase dovranno versare ai genitori e alla sorella della vittima una provvisionale immediatamente esecutiva di 60 mila euro. È stato concesso ai tre poliziotti il beneficio della condizionale e della non menzione. Resta aperto il capitolo risarcimento complessivo del danno che verrà stabilito da un giudice del Tribunale civile.
Il quarto componente della pattuglia che aveva fatto irruzione nel monolocale, l’agente Francesca Gatti, è stata invece assolta con quella che un tempo era definita «formula dubitativa». Ha partecipato all’irruzione ma quando Riccardo Rasman era stato ridotto all’impotenza, ammanettato e tenuto fermo sul pavimento coi piedi legati dal filo di ferro, era rimasta estranea all’azione. È emerso che in quei momenti segnati dai rantoli del giovane era stata in contatto via radio con la sala operativa della Questura. Il pm Pietro Montrone nell’udienza dello scorso 21 gennaio aveva chiesto la condanna di tutti e quattro gli agenti di polizia, proponendo nove mesi di carcere per il capopattuglia e sei per gli altri tre.
La sentenza è stata pronunciata ieri sera mentre tutto il palazzo di Giustizia era immenso nella penombra e nel silenzio. Nel corridoio antistante l’aula si erano radunati attorno ai familiari di Riccardo Rasman alcuni militanti «no global». Con loro l’ex consigliere regionale dei Verdi Alessandro Metz e il consigliere comunale Alfredo Racovelli. Non ci sono state reazioni scomposte. Alcuni si sono stretti attorno alla mamma e alla sorella della vittima. Singhiozzi carezze, ma anche un paio di telecamere e microfoni, puntati direttamente sul volto dell’avvocato Giovanni Di Lullo che è riuscito prima a evitare l’archiviazione dell’indagine e poi ad ottenere la condanna dei tre agenti. Determinante è risultato anche il lavoro svolto in precedenza dall’avvocato Alessandro Cuccagna.
Il caso comunque non è chiuso. È evidente che i tre condannati ricorreranno ai giudici della Corte d’appello e, se necessario, anche in Cassazione. Il loro difensore, l’avvocato Paolo Pacileo ha lasciato l’aula velocemente senza rilasciare dichiarazioni. Certo è che in tutte le fasi dell’istruttoria e nelle due udienze ha sempre sostenuto che ciò che è accaduto nel monolocale «non era prevedibile». I poliziotti avrebbero agito in base alla legge e avevano - secondo il difensore - il pieno diritto a fare irruzione nel piccolo appartamento della «casa dei Puffi».
Riccardo Rasman era assistito dal Centro di salute mentale di Domio ma questa dato sarebbe stato preso in considerazione dagli agenti troppo tardi. L’intervento era stato innescato dal lancio di alcuni petardi in strada e dalle proteste dei vicini. I poliziotti con l’aiuto dei pompieri avevano abbattuto la porta dell’alloggio ed erano entrati a forza. Ne era nata una mischia furiosa: Rasman era stato ammanettato e poi fatto distendere sul pavimento. In tre gli erano saliti alternativamente sulla schiena per tenerlo fermo col loro peso. Lui aveva iniziato a rantolare, tanto da esser sentito da una vicina. Quando erano intervenuti gli uomini del 118 era troppo tardi. Riccardo Rasman non respirava più. «Asfissia posizionale» l’avrebbe definita nelle perizia il medico legale Fulvio Costantinides.
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