Caso Zamparini, la sentenza rimette in gioco Val Cavarera

Il ribaltamento della sentenza di primo grado sui lavori nell’ex Valle Cavarera di Grado, con l’assoluzione degli imputati che il tribunale di Gorizia aveva condannato a pene variabili - a cominciare da quelle a 1 anno e 4 mesi l’uno inflitte ad Andrea Zamparini, figlio di Maurizio, e a Giovanni Bearzotti, rispettivamente legale rappresentante e consigliere delegato della “Monte Mare”, proprietaria dell’area - getta una luce completamente nuova sull’isola e, seppure ancora in astratto, offre prospettive insperate alla gigantesca lottizzazione del progetto “Vivere in Laguna”, che avrebbe dovuto portare alla realizzazione di un piano turistico-termale-residenziale da 800 milioni.
A evidenziarlo è l’avvocato Luca Ponti, che nel processo difendeva Bearzotti e che, della recente decisione della Corte d’appello di Trieste, evidenzia in particolare l’azzeramento dell’obbligo di ripristino che era stato imposto dal primo verdetto. «Il tribunale di Gorizia non solo aveva ritenuto configurato il grave reato di delitto ambientale, prosciogliendo invece dall’altra imputazione di discarica abusiva, già prescritta - ricorda l’avvocato Ponti -, ma aveva anche ritenuto illegittime, e quindi da “disapplicarsi”, le richieste di successiva sanatoria, che dopo l’instaurazione del procedimento penale, e sempre con la finalità di operare nella piena legittimità, gli interessati avevano ottenuto. A fronte di tale disapplicazione, pertanto, era stato disposto anche l’ordine di un onerosissimo ripristino, che il giudice d’appello ha invece completamente annullato». Nelle more, essendo stata impugnata la sentenza, l’operazione era stata congelata e la maxi-opera ovviamente sospesa. «Dopo che la Procura di Gorizia aveva formalmente invitato il Comune di Grado a tenere conto degli effetti della sentenza - continua il legale -, era stata compiuta un’ampia attività di caratterizzazione del sito, che aveva escluso la presenza di inquinanti, ritenendo anzi possibile l’utilizzo dell’area anche per finalità di tipo residenziale, come stabilito dalla Conferenza di servizi del 19 dicembre scorso. Ora, all’esito della sentenza d’Appello, il sito potrà avere tale uso, che peraltro il Piano regolatore comunale aveva già individuato».
Oltre a Zamparini (difeso dall’avvocato Giovanni Borgna) e Bearzotti, sono usciti a testa alta dal processo anche Giulio Ranni, della ditta “Tunnel” che aveva iniziato i lavori (avvocato Rossana Gregolet) e il direttore lavori Remo Livoni (avvocato Alessandro Giadrossi). I difensori si erano soffermati, in particolare, sulla «buona fede» di tutti gli imputati, a cominciare proprio dai proprietari dell’area. «Per il pm - afferma Ponti - facevano difetto «la prescritta autorizzazione paesaggistica» e il «permesso di costruire», necessari per poter intervenire nell’esecuzione di lavori di riporto in quota in area sottoposta a vincolo paesaggistico. Gli interessati, viceversa, avevano sin da subito evidenziato di avere acquistato le aree munite di tutti i permessi, avendo altresì ottenuto dalle amministrazioni plurime rassicurazioni sul fatto che la Via, regolarmente rilasciata, e relativa in particolare alle opere di urbanizzazione, fosse tale da coprire tutto l’intervento sotto il profilo ambientale, assorbendo anche l’autorizzazione paesaggistica ritenuta mancante dalla Procura».
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