Castello abbandonato, il “delitto” di Gradisca

GRADISCA D’ISONZO. È un triplice delitto: contro la storia, contro la memoria, contro il senso di appartenenza a una comunità. Cose turche, insomma. Già, proprio per difendere la cittadella dalle scorribande turche fu costruito, forse nel 1480, il castello di Gradisca d’Isonzo. Oggi, e da quasi trent’anni è abbandonato in uno stato inaccettabile. La crisi economica è un’attenuante, non certo un assoluzione. I colpevoli ci sono e si chiamano istituzioni. Un palleggio di responsabilità stucchevole. Come e peggio delle caserme; sapremo mai i nomi e i cognomi dei dirigenti del Demanio che complicano in modo esasperante qualsiasi trattativa di cessione degli immobili? Non lo sapremo, perché siamo sudditi che si differenziano dai cittadini perché i primi non possono scegliersi i governanti mentre i secondi se li votano (a dire il vero nemmeno i secondi, da un po’ di tempo in qua, in Italia). Sudditi di serie B rispetto ai sudditi della Serenissima repubblica di Venezia il cui Senato votò per la costruzione del Castello. Ci teneva Venezia al suo Territorio; oggi chi tiene a che cosa?
Provare per credere. Una passeggiata attorno alle rovine del Castello, meglio se in una giornata uggiosa (delizioso aggettivo lucidato da Mogol). Il Comune di Gradisca tiene in buona cura la zona: erba tagliata di fresco, mura dell’argine ben curate, sentieri di ghiaia puliti. Dall’arco dell’ingresso si scorge la vegetazione che in modo prepotente si è impadronita dei cortili interni. L’edera sta coprendo la facciata, la parte scoperta denuncia crepe, l’intonaco sta cedendo in più punti denudando impudicamente le pietre che cinque secoli fa furono ordinatamente poste per costruire l’edificio. Una lapide ricorda il colonnello Lalli, ultimo comandante dell’11° bersaglieri. La lapide è ingabbiata dalla rete elettrosaldata che protegge i curiosi dal pericolo di essere colpiti dai calcinacci. L’11° bersaglieri è un corpo che ha scritto pagine tragiche della Seconda guerra mondiale. Una collocazione più decorosa per la lapide non si potrebbe trovare?
Svetta dalle mura la parte finale dell’antico arsenale veneto. Le finestre senza più infissi trasformano l’edificio nella grottesca maschera di certi vecchi con la bocca sdentata. Anche in questo caso l’edera arrampica facilmente verso la vetta della desolazione. Nonostante gli oltraggi le mura del castello sembrano resistere bene; sarà perché le hanno costruite gli austriaci che erano precisini e ordinati. Ma l’insieme è spettrale e quasi pare di sentire i lamenti urlati dai prigionieri là rinchiusi dal 1815 in poi. Fu quello un carcere anticamera del ben più tristemente noto Spielberg, oggi in Repubblica Ceca. Che ovviamente si trova in perfette condizioni strutturali e al suo interno ospita, oltre alle testimonianze del carcere, biblioteche e sale museali ed è stato dichiarato già nel 1962 monumento culturale nazionale. Ma noi non siamo la Repubblica Ceca; davanti a questi scempi siamo una repubblica cieca.
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