Cavana è diventata chic: fino a 3500 euro al metro per comprare una casa
Ultimato all’85 per cento il restauro della zona ma restano numerosi edifici diroccati all’interno della parte rifatta
Terra di tutti e di nessuno. Degli studenti e dell’«upper class» triestina; delle «botteghe», dei negozi etno-chic e dei laboratori artigiani. Dei locali notturni, delle osterie, dei ristoranti di classe; c’è pure un’«osmiza». A due passi si ergono austeri i palazzi della politica, il salotto buono di piazza Unità. Sotto i pavimenti spuntano colonne d’epoca romana e tra una parete e l’altra campeggiano firme «graffitarie» di giovani writers notturni. La Cavana degli anni Duemila è tutto questo. Chi ci vive e lavora da decenni porta con sè i ricordi dei tempi andati, dalle case chiuse alle aree off-limits, per anni rifugio dei tossicodipendenti. Chi inizia a conoscerla oggi respira l’atmosfera «young» e allo stesso tempo ricercata di un angolo di città in pieno centro, strappato al degrado e quasi totalmente riqualificato, zeppo di negozi e ben servito. Sono lontani gli anni Ottanta, quando più di qualcuno avrebbe pagato caro pur di liberarsi di ruderi - all’apparenza - senza speranze. Oggi, quella stessa Cavana, mix di età e classi sociali, è in assoluto la zona «top» di Trieste, quella dove quasi tutti vorrebbero vivere o aprire un negozio. Gli agenti immobiliari parlano chiaro: «Oggi è la più richiesta. Quindici anni fa non ci credeva nessuno: le case valevano al massimo 2 milioni di lire al metro quadro».
Quanti ce ne vogliono ora? Almeno il triplo. Si parla di cifre che arrivano fino a 3.500. Euro, ovviamente. La storia recente di questo rione inizia a metà degli anni Novanta, con il programma Urban: Trieste riesce ad aggiudicarsi finanziamenti europei per ridare vita alla zona, nello specifico a tutta l’area compresa nel perimetro segnato da piazza Barbacan, via Venezian, piazza Cavana, via Punta del forno e la scalinata che porta alla chiesa di Santa Maria Maggiore. Arrivano da Bruxelles soldi per ridare fiato a una zona dall’alto potenziale culturale e commerciale, costellata di edifici di proprietà comunale, dell’Ater e di privati, quasi tutti in condizioni disastrose, molti transennati e disabitati. Le risorse europee servono a costruire negozi, appartamenti e alcuni edifici destinati a ospitare attività socialmente utili (come l’attuale Casa della musica, oppure il Centro antiviolenza). In buona sostanza, dall’Ue prendono la via di Trieste risorse destinate al Comune, in quanto beneficiario, proprietario di immobili ed esecutore dei lavori (tra cui quelli per realizzare i nuovi impianti di illuminazione e la pavimentazione dell’area). Altri sono destinati agli imprenditori interessati ad aprire una nuova attività nelle viuzze di Cavana, oppure rinnovare una già esistente. 1998: anno del bando di gara. A fare richiesta per ottenere i finanziamenti sono in 300 imprenditori, principalmente artigiani. Per ristrutturare il negozio servono 100 milioni di lire? L’Ue te ne dà la metà. Partono subito (nel ’99) i lavori di recupero degli immobili pubblici.
I proprietari privati (che non beneficino di contributi europei) ricevono incentivi dall’allora giunta comunale Illy per rifare tetti e facciate. «Quasi tutti hanno capito il potenziale della zona e hanno sfruttato l’occasione. Altri però, purtroppo, hanno fatto poco o nulla, allungando i tempi: pura speculazione edilizia. Ci sono ad esempio alcune case ancora fatiscenti e disabitate in piena zona Urban: c’è qualcuno che ha sfruttato gli incentivi pubblici per realizzare parzialmente i lavori e poi ha messo tutto in cassetto. E nessuno può obbligarli a proseguire». A parlare è Renato Chicco, coinvolto in prima persona in tutta la faccenda: è titolare dell’omonima gioielleria, dal 2001 in via Punta del forno (ha beneficiato dei contributi di Bruxelles), ma è anche stato presidente di una delle tra associazioni di artigiani di Trieste, il Cna, dall’82 al ’96, e consigliere comunale dei Cittadini fino a pochi anni fa. «Purtroppo i soldi c’erano, e imprenditori interessati anche, ma mancavano molti spazi, proprio a causa del tergiversare di alcuni proprietari degli immobili, che per anni non hanno mosso un dito - spiega Chicco -. Alla fine hanno beneficiato dei finanziamenti europei in 40, che hanno avviato nuove attività commerciali o rinnovato quelle già esistenti. Anche se la riqualificazione degli ultimi dodici anni ha ridato vita alla zona, c’è ancora del lavoro da fare; ci sono palazzi fatiscenti e molti cantieri aperti».
Un esempio? Rimane la «casa Francal», storico edificio in via dei Cavazzeri, di proprietà comunale e destinato, in base al programma Urban, a diventare un centro sociale polivalente. L’impresa romana titolare dei lavori è fallita e questo storico palazzo col «panduro» sulla facciata oggi giace lì, abbandonato e in degrado. Il programma Urban è ovviamente finito: i finananziamenti non utilizzati entro il 2001 sono tornati a Bruxelles. Nonostante il permanere di alcuni elementi di «disturbo» nell’area, il fatto che Cavana, negli ultimi anni, sia diventata sogno - spesso proibito - per molti triestini, è sotto gli occhi di tutti. Dopo gli anni Cinquanta, quando il rione era il regno della case chiuse e frequentato quasi esclusivamente da gente di «malaffare», passando per gli anni Ottanta, quando le stradine della zona diventarono terra di sbandati e tossicodipendenti, oggi Cavana vive la sua «nouvelle epoque», che passa anche per le agenzie immobiliari. Il messaggio di Antonio De Paolo, presidente provinciale della Fiaip, (Federazione italiana agenti immobiliari professionali) suona forte e chiaro: «L’85% dell’area è stato riqualificato - spiega -. Penso che nel giro di qualche anno tutti i lavori saranno terminati. In pochi ci hanno creduto, in questo progetto, quindici anni fa. In pochissimi a Trieste hanno colto la potenzialità di questa zona, considerati i precedenti e le condizioni disastrose in cui giaceva - afferma De Paolo -.
Lo hanno capito prima gli imprenditori veneti e friulani, che si sono messi a investire subito per il recupero dell’area. E ora si vedono i risultati strabilianti: chi vuole casa in centro la cerca in Cavana. Essendoci appartamenti da 40 fino a 200 metri quadrati, gli acquirenti sono giovani coppie con mezzi limitati, ma anche anziani benestanti e professionisti, non solo triestini». Per le agenzie immobiliari, insomma, questa Cavana rinnovata è una gallina dalle uova d’oro. Fino al 1992, a detta dell’esperto del mattone, si pagavano 300mila lire a metro quadro per mettere le mani su ruderi da ristrutturare. Oggi, invece, servono 1.200 euro circa. Dal 2000 in poi, per comprare un appartamento tra via Cavana e piazza Hortis si spendono tra i 2.800 e i 3.500 euro al metro quadro. Se si parla di negozi si arriva ai 5mila euro. «Ormai Cavana è diventato il salotto buono della città - aggiunge De Paolo -. È l’unico esempio di trasformazione così radicale avvenuta a Trieste, con un conseguente boom di richieste di case e impennata dei prezzi». Grazie al programma Urban sono sorte nella zona, in edifici di proprietà del Comune, anche strutture come la casa degli studenti dell’Erdisu (60 miniappartamenti per gli universitari) e la Casa della musica, gestita dalla Cooperativa 55, che hanno contribuito a portare tante facce giovani in Cavana.
«La costruzione della casa dello studente è stata una delle più grandi novità degli ultimi anni all’interno del panorama universitario triestino - spiega Silvano Magnelli, presidente dell’Erdisu. Ha fatto fare un salto di qualità allo stile di vita degli studenti, che possono integrarsi più facilmente con i triestini e allo stesso tempo ha contribuito alla riqualificazione della zona». Cavana è proprio terra di tutti e di nessuno. Giovani e anziani, ad esempio la considerano entrambi il proprio «fortino». «Noi lavoriamo soprattutto con i giovani - spiega Gabriele Centis, direttore della scuola di musica 55 -. Però nella nostra caffetteria vengono anche tanti anziani. E quante volte li ho sentiti parlare dei tempi in cui in Cavana c’erano le case chiuse! Apprezzano la trasformazione del quartiere, ma per loro è stata una rivoluzione. La Casa della musica è diventata un punto di riferimento per i residenti all’interno di rione che, escluso qualche schiamazzo notturno e un po’ di sporcizia residua dalle ”notti brave” dei weekend, oggi è tornato a nuova vita». (2. continua)
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