Cellule anormali e tessuti impazziti, così il Covid-19 aggredisce i polmoni

Le caratteristiche degli organi colpiti da Sars-Cov-2 svelate da uno studio condotto con le autopsie di 41 vittime triestine

TRIESTE. Uno studio effettuato su 41 pazienti triestini morti per Covid-19 la scorsa primavera svela le caratteristiche che contraddistinguono la polmonite da Sars-CoV-2 e potrebbero essere responsabili della difficoltà che molti dei pazienti che sopravvivono alla malattia sperimentano nel ritorno alla normalità, la cosiddetta “sindrome del Covid lungo”.

La ricerca, pubblicata ieri su Lancet eBioMedicine, è firmata da un gruppo di ricercatori italiani del King’s College London, dell’Università di Trieste e del Centro di Ingegneria Genetica e Biotecnologie (Icgeb) di Trieste e si avvale dell’esperienza pluriennale dell’Istituto di Anatomia patologica dell’Università di Trieste, e in particolare della dottoressa Rossana Bussani, nell’eseguire l’esame autoptico dei pazienti che muoiono nel capoluogo giuliano.

Una pratica che non si è mai fermata, nemmeno durante il lockdown di primavera, nonostante le indicazioni del ministero della Sanità la sconsigliassero perché i meccanismi di trasmissione della malattia erano ancora completamente sconosciuti.

In questo studio i risultati degli esami autoptici sono stati combinati con esami molecolari, effettuati da un team di ricercatori, guidato da Mauro Giacca, che ha analizzato i polmoni dei 41 pazienti deceduti per Covid-19 da febbraio ad aprile. Pazienti di età mediamente avanzata, quasi tutti con comorbilità, su cui è stata effettuata un’autopsia sui principali organi considerati potenziali bersagli per il virus: non solo i polmoni ma anche cuore, cervello, fegato, reni.

E già qui c’è il primo risultato dello studio, che sfata il mito che il virus infetti tutti gli organi: «Dalle autopsie risulta chiaramente come Covid-19 non vada a colpire altri organi a parte i polmoni», spiega Bussani, prima firmataria dello studio. «Certo parliamo di pazienti con comorbilità e mediamente di età avanzata, perciò con organi che possono essere danneggiati, ma non a causa del Covid-19: non c’è traccia di virus negli altri organi», specifica Giacca.

Il virus colpisce quindi solo i polmoni, ma pesantissimamente: i reperti autoptici hanno mostrato un danno polmonare molto esteso nella maggior parte dei casi: diversi pazienti mostravano una vera sostituzione del tessuto respiratorio del polmone con un tessuto cicatriziale e fibroso. «Potrebbe essere questo danno polmonare, che è riparato con una cicatrice molto estesa, il motivo per cui i pazienti Covid con sintomi importanti quando guariscono impiegano anche mesi per recuperare», osserva Giacca. Ma c’è di più. Sono almeno altri due gli aspetti inattesi e specifici riscontrati nei polmoni dei deceduti.

Il primo è rappresentato da una vasta presenza di trombi nelle grandi e piccole arterie e vene polmonari, trovati in quasi il 90% dei pazienti e causati dall’attivazione anomala del sistema della coagulazione nei polmoni. «Queste trombosi, formazioni di coaguli di sangue che bloccano arterie e vene polmonari, fanno pensare che ci sia qualche meccanismo virale tipico di Covid-19 che le causa - dice Giacca -. Nel nostro studio gli anticoagulanti, somministrati ad alcuni dei pazienti poi deceduti, non paiono aver avuto effetti significativi: la sensazione è che ci sia qualcosa, che potrebbe essere la proteina Spike, tipica del nuovo Coronavirus, che scatena un’attivazione aberrante della coagulazione».

Il secondo elemento osservato, altrettanto inedito e strettamente connesso al primo, è la presenza di una serie di cellule anormali, molto grandi e con molti nuclei, infettate dal virus anche dopo 30-40 giorni dal ricovero in ospedale. Queste cellule derivano dalla capacità della proteina Spike del virus (quella che dà la caratteristica forma a corona) di stimolare la fusione delle cellule infettate con le cellule vicine. «La persistenza del virus per tempi molto lunghi dopo l’infezione e la presenza di queste cellule fuse, che in medicina chiamiamo sincizi, possono spiegare perché il virus causi tanta infiammazione e trombosi», evidenzia Giacca.

Per Serena Zacchigna, dell’Università di Trieste e Icgeb, che ha coordinato la parte triestina dello studio, «queste osservazioni indicano che il Covid-19 non è solo una malattia causata dalla morte delle cellule infettate dal virus, come per altre polmoniti, ma anche dalla persistenza di queste cellule anormali infettate nei polmoni». Nei laboratori del King’s College di Londra diretti da Giacca è già partita la caccia a una nuova classe di farmaci in grado di impedire la formazione dei sincizi indotti dalla proteina Spike, quindi di stimolare l’eliminazione del virus e bloccare la trombosi.

«Abbiamo operato uno screening su 3000 farmaci che bloccano la formazione di sincizi e ne abbiamo trovato uno che pare molto efficace», racconta Giacca, sottolineando come così si sia spostata l’attenzione dal tentativo di bloccare la replicazione del virus a quello di fermare l’effetto delle cellule infettate dal virus sull’organismo. 


 

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