Il centro islamico Darus presenta ricorso al Tar contro il passaggio al Comune di Monfalcone

Contestata l’acquisizione del centro avviata dalla giunta. Attesa per la sentenza sul caso doposcuola

Tiziana Carpinelli
Fedeli islamici raccolti in preghiera in occasione della fine del Ramadan a Monfalcone. Il centro Darus Salaam impugnerà davanti al Tar l’acquisizione avviata dal Comune
Fedeli islamici raccolti in preghiera in occasione della fine del Ramadan a Monfalcone. Il centro Darus Salaam impugnerà davanti al Tar l’acquisizione avviata dal Comune

Il centro culturale islamico Darus Salaam ha conferito l’incarico al legale Vincenzo Latorraca. Gli ha dato mandato di presentare ricorso al Tar, consentito nei termini di legge entro 60 giorni dalla sua notifica, contro l’atto di acquisizione dell’immobile di via Duca d’Aosta al patrimonio indisponibile comunale, per il quale peraltro il municipio ha già annunciato la scorsa settimana l’avvio dell’intavolazione.

L’avvocato – è notizia di lunedì mattina – nei prossimi giorni e «nel più breve tempo possibile» procederà con l’impugnazione, dopo aver già esercitato analoga azione (si attende qui solo la fissazione dell’udienza) della deliberazione consiliare del 28 febbraio scorso, sull’interpretazione autentica delle norme tecniche attuative del vigente Piano regolatore. Approvazione avvenuta all’ultimissima assise pre elettorale, presieduta da Alessandro Saullo, con i 21 voti a favore della maggioranza (sei i contrari, tutti del centrosinistra).

Un’interpretazione specificatamente riguardante i servizi e le attrezzature collettive, che ha stabilito come questa destinazione di tipo “O” possa essere «attuabile solo mediante progetto approvato dall’amministrazione comunale che ne riconosca un interesse qualificato». Un passaggio in più, per Latorraca, legato a doppio filo alla volontà amministrativa: lui invece sostiene la tesi che si tratti di «una variante mascherata», un iter non attuabile. E che impatti, quest’approvazione su cui l’opposizione con l’allora dem Paolo Frisenna aveva avuto ampiamente da ridire, proprio sui centri e luoghi di preghiera.

L’interpretazione autentica era stata proposta, come emerso in sede di commissione coordinata dall’allora vicesindaco reggente e assessore all’Urbanistica Antonio Garritani, su impulso degli uffici della Pianificazione urbanistica capitanati dal dirigente Marco Marmotti, lo stesso a firmare sia l’ordinanza-madre oggetto di contenzioso con i centri culturali (la numero 03/EP del 15 novembre 2023), che è culminato al Consiglio di Stato nella sentenza favorevole all’ente, sia il verbale di accertamento di inottemperanza al «ripristino immediato della destinazione d’uso del locale legittimamente autorizzata con divieto di utilizzo dell’immobile come luogo di culto». Questo nel lasso temporale di 90 giorni, calcolati dalla notifica del 25 novembre 2023.

Terzo fronte ancora aperto, si attende nei prossimi 45 giorni dall’udienza nel merito avvenuta il 7 maggio, nell’aula di Trieste, la sentenza del Tar per l’ultima della serie di ordinanze dirigenziali impugnate, che aveva definito «irregolare il doposcuola per i bambini nella parte dei locali con esclusiva destinazione d’uso commerciale», sempre al Darus. L’unico a procedere nella battaglia legale. Il Baitus Salat di via Don Fanin, dove l’immobile è invece in locazione, proprietà di terzi italiani, avrebbe infatti intrapreso altra via, stando al Comune, adeguandosi ai provvedimenti municipali. Pure per l’immobile, acquistato e quindi proprio, dell’ex Hardi, rimasto negli anni pressoché inutilizzato, al netto degli ultimi Ramadan e Feste del sacrificio.

Ma cosa dice il documento di accertamento di inottemperanza? Cita come elemento di prova 15 verbali della Polizia locale a partire dal 22 marzo 2024 fino al 4 aprile scorso. Nei primi 14 viene riferita di una consistente presenza di persone «intente a pregare collettivamente»: da un minimo di 119 a un massimo (unico caso però) di 1.130 persone, qui il 24 giugno 2024.

Mentre nell’ultimo verbale, successivo alla sentenza definitiva del Consiglio di Stato, ne vengono annoverate solo 30-35. Per il Comune dunque «risulta accertato che all’interno dell’immobile oggetto dell’ordinanza dirigenziale di ripristino si è svolta costantemente, in maniera sistematica e organizzata attività di culto aperta a una comunità indistinta di persone, in contrasto con quanto previsto dall’ordinanza» originaria. E si è infine ripetuta «successivamente alla pubblicazione della sentenza» di Palazzo spada.

Sicché «gli accertamenti istruttori presentano un contenuto univoco nel senso del perdurante cambio di destinazione d’uso dell’immobile per finalità di culto, in contrasto con il titolo abilitativo edilizio».

Di qui l’applicazione dei commi 2-3, articolo 45, della legge regionale 19 del 2009 secondo cui «se il responsabile dell’abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di 90 giorni dall’ingiunzione», avvenuta, «o non presenta istanza di sanatoria» allora «il bene e l’area di sedime, nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del Comune». Cosa di cui, scrive l’ente, il destinatario del provvedimento era stato «avvertito». L’acquisizione gratuita si produce «automaticamente, accertando le modalità di uso dell’immobile in violazione all’ordinanza».

Inoltre «il dirigente responsabile», sempre ai sensi di norma, «non ha la possibilità di esercitare alcun potere discrezionale né tantomeno è tenuto a svolgere una qualsivoglia valutazione sull’interesse pubblico sotteso all’adozione del provvedimento di inottemperanza, trattandosi di atto dovuto e rigorosamente vincolato, poiché il bilanciamento tra l’interesse pubblico e quello privato è già effettuato a monte dal legislatore». —

 

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