Chi resta in strada fa la fame

«Questa non è vita...». No, non lo è affatto. L’esistenza non dovrebbe ridursi a un marciapiede umido su cui vendere il proprio corpo. Per ore, al freddo, con la bora o sotto la pioggia. Mentre in molti appartamenti caldi in giro per la città, al riparo da qualsiasi occhio indiscreto, si consuma sesso a pagamento, le pochissime lucciole di via Roma restano in strada ad aspettare i clienti. Sono sette in tutto. Tra loro c’è Viola, un nome di finzione, nigeriana. È da vent’anni a Trieste. E per quindici lunghi anni è riuscita a lavorare qui regolarmente. Faceva l’aiuto cuoca in una nota casa di riposo cittadina. «Quando ho perso il posto non ho avuto altre possibilità, per questo sono qui», dice. È una bella donna. Alta, magra. Il sorriso si apre su denti bianchissimi e perfetti.
Intorno al viso treccine lunghe nere e bionde. Ha 46 anni e ne dimostra davvero molti meno. A casa ha un bambino da mantenere con il mestiere più antico del mondo. Lo fa due volte la settimana. «Ma non si guadagna tanto», mormora. Si arrangia anche con qualche lavoretto provvisorio, quando riesce, come la baby-sitter. «Cerco sempre qualcosa di alternativo, ma non trovo, non è facile», aggiunge sconsolata. Ma a testa alta. Con dignità. Si apposta nel suo angolo, quello che tacitamente si è accaparrata insieme alle sue “colleghe”, tra l’inizio di via Roma e via della Geppa.
Poche centinaia di metri più in là ecco Fiore. Trent’anni, altro nome di fantasia. Lei invece è del Ghana, è arrivata da poco in Italia e lavora durante i weekend. Un lucidalabbra sobrio e leggero sulle labbra carnose, i cappelli folti, neri e raccolti in uno chignon. Ha poco giro, come peraltro le altre ragazze più in là, pure loro africane. Fiore fa un cliente, forse, se va bene, a serata. Porta a casa trenta, quaranta euro, non di più. Cerca occupazione come donna delle pulizie o badante. Le piacerebbe cambiare vita. «Ma questi lavori, che dovrebbero essere i più facili, non riesco a ottenerli», ripete pure lei. Stare in strada a offrirsi al piacere fugace di qualche cliente è, al momento, l’unica possibilità. Prostituirsi per rimediare qualche centinaia di euro al mese. E rischiando. «Ci sono albanesi, marocchini, dobbiamo stare attente», dice. Non ha alle spalle protettori. «È una mia scelta per riuscire a tirare avanti», ci tiene a specificare.
Di fronte a lei, all’angolo tra via Roma e via Machiavelli, c’è solo una collega. Ma la concorrenza, seppur non spietata affatto, non serve a nulla. Non si ferma nessun cliente. All’una di notte non passano più clienti. A un certo punto l’altra ragazza se ne va, non ha più voglia di aspettare. A Fiore piacerebbe, un giorno, trovare «un brav’uomo» con cui sposarsi. «Se avessi un marito non sarei qui - ammette - e potrei smettere di fare questo brutto lavoro, perché questa non è vita, è una vita brutta».
(b.m. e g.s.)
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