Cobello : «Più ricoveri in day hospital per abbattere i costi»

Il direttore generale difende le scelte dell’azienda dopo le critiche: necessario trasferire pazienti al territorio
Di Claudio Ernè
FOTO BRUNI TRIESTE 25 09 09 OSPEDALE DI CATTINARA-
FOTO BRUNI TRIESTE 25 09 09 OSPEDALE DI CATTINARA-

Non ci sta a essere impallinato dalle denunce pubbliche dei sindacati dei medici. Vuole smarcarsi dal ruolo di bersaglio costante delle polemiche che investono l’Azienda ospedaliero sanitaria e gli assetti che la governano da due anni e mezzo. Rifiuta l’immagine che lo indica leader di una macchina inceppata che perde colpi e procede a vista, priva di un disegno strategico.

Francesco Cobello, direttore generale dell’Azienda ospedaliero sanitaria, è passato al contrattacco e lo ha fatto come i bravi generali nel momento opportuno, quando la Bora che ha squassato le torri di Cattinara, costringendolo a trasferire un intero reparto di ammalati anziani all’ospedale Maggiore, è solo un ricordo; un dato statistico da inserire negli annali.

«Siamo la più importante azienda del territorio di Trieste. Lo dico con orgoglio perché abbiamo speso negli ultimi tre anni 280 milioni di euro che sono ricaduti sulla città. Abbiamo tremila dipendenti tra cui 550 sono dirigenti medici e 1613 sono addetti all’assistenza infermieristica. La percentuale degli amministrativi che lavorano nei nostri uffici è la più bassa di tutte le altre aziende ospedaliere della regione. Nel 2004 gli impiegati erano 712, oggi sono 515 e la parte eccedente è stata riconvertita a compiti di assistenza agli ammalati».

Il direttore generale legge ad alta voce ciò che compare sui fogli che gli vengono “passati” dai suoi collaboratori. I diagrammi, le statistiche, le singole cifre, compongono un grande affresco i cui colori, secondo Francesco Cobello, hanno rassicuranti tonalità pastello. Niente nero, nessuna ombra o nuvola.

«I nostri tempi di pagamento dei fornitori sono brevissimi: entro 90 giorni dall’arrivo della fattura i soldi sono disponibili. In Veneto il tempo medio è di 270 giorni, tre volte tanto. Questo avviene anche se da tre anni la Regione non ha aumentato di un euro i finanziamenti destinati alla nostra azienda. In pratica abbiamo perso in due anni in termini reali il sette per cento delle dotazioni finanziarie. Nel 2011 il nostro bilancio è stato comunque positivo. Nel 2012 a fatica dovremmo raggiungere il pareggio. Accanto al bilancio 2013 comparirà invece un grande punto interrogativo. A Trieste la spesa sanitaria è alta perché il 27 per cento della popolazione ha una età superiore ai 65 anni. Siamo la città più anziana d’Italia».

Per contenere la spesa e mantenere inalterato l’alto livello delle prestazioni sanitarie, l’Azienda di cui Francesco Cobello è “leader maximo”, sta applicando una linea “politica” molto precisa. In sintesi un buon numero di degenze ospedaliere vengono trasferite nei Day Hospital: e altrettanto accade al Day Hospital, parte dei cui pazienti viene avviata agli ambulatori. L’effetto di questa scelta è doppio: viene contenuta la spesa e viene ridotto il numero delle degenze, riservando i reparti ospedalieri ai casi più urgenti.

Questa “politica” sta dando i suoi frutti. Nel 2009 le degenze nei due ospedali cittadini - Cattinara e Maggiore - avevano raggiunto quota 267mila; nel 2011 sono scese a 255 mila. Parallelamente le visite ambulatoriali dai 2 milioni e 190 mila del 2009, sono passate a due milioni e 3214 mila nel 2011.

“Far uscire prima”. Questo è l’imperativo categorico con cui i medici che dirigono i reparti ospedalieri devono fare costantemente i conti. L’ordine dell’Azienda non cita espressamente i malati ma è evidente a tutti che nessuno può più occupare per giorni e giorni uno dei 856 letti disponibili nel due ospedali triestini. Il Burlo Garofolo non conta in questo quadro perché fa storia a sè. Il “fare uscire prima” in questi mesi o non ha comunque potuto essere applicato alla lettera perchè nessun malato poteva essere dimesso quando era ancora grave; o al contrario l’ordine non è stato eseguito con ubbidienza cieca, pronta e assoluta”. Lo provano sia i ripetuti “ingorghi” del Pronto Soccorso con attese di ore in barella e con decine e decine di ricoveri fuori reparto.

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