Con Elio sul treno dei ricordi lungo la Trieste-Erpelle

«Ho fatto l’aiuto macchinista sulla linea ferroviaria a vapore Trieste–Erpelle dal marzo del 1957 fino all’estate dell’anno successivo, quando l’hanno chiusa”. Elio Martari, triestino classe 1935, è uno degli ultimi ferrovieri della città a possedere la testimonianza di prima mano dell’epopea delle locomotive di un tempo, di quelle che a raccontarle ai giovani d’oggi sembrerebbero quasi leggendarie. «Partivamo da Campo Marzio con la prima corsa alle 5.10 del mattino – afferma il signor Elio – e pensa che per poter muovere la locomotiva dovevo essere sul posto di lavoro già alle 4. Il treno consumava carbone, che come aiuto macchinista ero tenuto a caricare prima. Si partiva e si impiegava mezz’ora per raggiungere Erpelle, dove non avevamo mai tempo per fermarci. Si ripartiva quasi subito».
Il diario di Elio scivola via lungo le pagine di una storia quasi dimenticata, in quella nostalgia verso le immagini in bianco e nero che la crisi della contemporaneità alimenta. «Il viaggio di ritorno della prima corsa era quello forse più frequentato, perché a Draga Sant’Elia, Moccò e San Giuseppe della Chiusa salivano a bordo le donne del latte (mlekarice in sloveno, ndr) che chiacchieravano tra di loro fino al capolinea».
La quarta stazione del percorso era Sant’Anna: «Delle cinque che partivano giornalmente da Campo Marzio solo la seconda, l’ultima e quella del primo pomeriggio giungevano fino a Erpelle. Le altre invece fermavano a Draga» racconta Elio che snocciola aneddoti curiosi e divertenti. «Quando tornavamo da Erpelle, siccome mancava uno svincolo, dovevamo farla praticamente in retromarcia, un po’ come i gamberi. La bora poi – continua – era sempre un elemento di disturbo: a causa del carbone che dovevamo utilizzare e delle raffiche, spesso ci ritrovavamo con il viso completamente annerito. Mia moglie quando ci siamo conosciuti la prima volta – sorride Martari – mi ha chiesto: “Ma cossa perché la ga i oci neri lei?”». Anche nell’espressione dialettale trasuda l’eleganza del ritmo a passo lento della locomotiva della fine degli anni Cinquanta.
«Per la festa di San Giuseppe poi, da città salivano a bordo decine e decine di persone a ogni corsa, tanto che dovevamo mettere una locomotiva in più e almeno quattro o cinque vetture, tanta era la gente che voleva andare a passare una bella giornata di festa. Sono tanti anni ormai che non vado più, go 84 anni mi la sa?». Se si è alle prese con un signore che ha superato gli ottanta ed è in splendida forma come nel caso di Elio, si sa che gli anni tendono ad aumentare, un po’ per scherzo e un po’ per fare invidia alla persona che si ha davanti. «Vado a correre tre volte alla settimana – racconta così – e ogni tanto ho portato anche i miei nipoti sulla linea ferroviaria, quella che oggi è la ciclabile che passa sopra la Val Rosandra».
I ricordi e le emozioni si sprecano, anche se Elio ha le idee molto chiare: «Era una linea impossibile, dicevano fosse una delle più difficili d’Europa a causa della pendenza e del tracciato (si partiva da tre metri sul livello del mare per toccare i 490, ndr). La chiusero perché non era più funzionale e credo costasse troppo. È giusto che oggi sia una ciclabile e che venga usata dalle persone per andare a correre o in bicicletta».
Il signor Martari ha radici veronesi: «Mio padre Enrico e mia madre Maria erano entrambi di Villafranca di Verona e si sono incontrati qui a Trieste subito dopo la Prima guerra mondiale. Mio padre infatti aveva combattuto sul Carso e sull’Isonzo (prigioniero nel dopo Caporetto per sei mesi in un campo di prigionia tedesco, ndr) e da reduce gli era stato offerto un lavoro proprio qui come ferroviere». Elio ricorda che «mia madre, dopo la terza avviamento, mi spedì dritto a cercare lavoro. Io avrei voluto fare il Volta ma non c’erano soldi per la scuola». Martari partecipa al concorso nel 1956 e dopo nove mesi di corso a Udine viene assunto. «Come aiuto macchinista percepivo uno stipendio di 78 mila lire (questo il dato del 1958 che Elio ricorda, ndr) ma era un lavoro duro, oggi lo chiamerebbero usurante».
Una linea transfrontaliera che attraversava la Cortina di Ferro metteva di fronte i ferrovieri italiani e quelli sloveni in un periodo in cui i rapporti tra Roma e Belgrado non erano per niente all’acqua di rose. «Con i colleghi sloveni c’era un rapporto cordiale e non abbiamo mai avuto alcun problema».
Elio ricorda ancora: «Andavamo a 15 chilometri all’ora e anche se per qualche motivo facevamo ritardo nessuno si indignava, non eravamo mica il Frecciarossa di oggi». Nei suoi occhi rimane la gioia di essere uno degli ultimi protagonisti della locomotiva a vapore e ha un pensiero speciale da dedicare a Campo Marzio. «Spero veramente – conclude Martari – che il museo riesca a diventare un punto di riferimento per i tanti appassionati e per i turisti. Hanno detto che stanzieranno dei soldi per la sua ristrutturazione: speriamo lo facciano davvero».
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