Con la Calicanto oltre la paura del diverso

Presentato il libro di Elena Gianello che racconta i 20 anni dell’associazione per lo sport integrato

«Una macchina parte in una giornata di sole. Poi, tutto a d’un tratto, arriva un tir e la inchioda». Potrebbe essere una triste storia e forse inizialmente lo è. Ma non è proprio così. Questo è l’incipit di una vita con un lieto divenire, che tra tanti sforzi continua ancora. Ed è anche la metafora usata ieri dall’assessore alle Politiche sociali Carlo Grilli per presentare il libro “Calicanto, il sogno fiorisce - Nasce lo sport integrato” (Corvino edizioni) scritto da Elena Gianello, presidente di Calicanto onlus, l’associazione triestina che per prima in Italia 20 anni fa ha promosso l’attività sportiva integrata tra ragazzi abili e diversamente abili.

«Il bambino disabile - ha proseguito Grilli - è come l’auto colpita dal tir. L’investimento ti lascia senza fiato, non ti dà la capacità di capire se riuscirai a superare la situazione. Mette in discussione la famiglia, la coppia. È un momento devastante, crea mille quesiti. Ma poi ti rendi conto che l’auto, seppur quasi distrutta, cammina lo stesso. E in quella corsia iniziano a passare vicino delle altre auto, alcune si agganciano e ti portano con loro. Ho pensato a Elena come un’auto che aggancia quella incidentata, che dà la possibilità di far andare avanti il veicolo e di rimetterlo nel traffico. Lei e il suo staff sono angeli custodi che arrivano dall’alto e che poi si mettono anche a scrivere».

Il libro ripercorre questi vent’anni di esperienze, partendo dagli albori, quando il termine disabile non era concepito come oggi e del problema non si parlava tanto. «La mia idea 20 anni fa - spiega Gianello, che è docente di Scienze motorie e sportive anche all’Università di Udine - era far aprire gli occhi». Oltre a ricordare il debutto, nell’idea di questa pubblicazione c’è la voglia di «rinnovare la gioia che tra noi amici abbiamo per andare avanti». Perché «molte mattine mi alzo - spiega - e non nego che si fa fatica, ma poi quando vedo i giovani e gli amici proseguo. Abbiamo ridato una gioventù e una speranza alle famiglie. Questo piccolo seme l’abbiamo messo a Trieste, che oggi da questo punto di vista è molto più all’avanguardia rispetto al resto d’Italia. Vorrei che queste esperienze educassero - sottolinea l’autrice - e ponessero delle domande, facendo capire che non bisogna avere paura del diverso». Un concetto, quest’ultimo, testimoniato in particolare da una nonna: «Mio nipote - ha detto - mi ha insegnato tante cose, ha una serenità che a volte io non ho e non è assolutamente da compatire». (b.m.)

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