Con Lorenzo Pastrovicchio, Paperino diventa l’agente segreto Double Duck

Classe 1971, cresciuto alla Scuola di disegno Disney, Pastrovicchio racconta in questo ”prequel”, l’inizio della carriera da agente segreto di Paperino. Ovvero, la trasformazione da papero sfortunato in uno 007
TRIESTE.
Il mondo dei paperi, e di Topolino e Co., lo conosce come fosse casa sua. Ma Lorenzo Pastrovicchio, finora, non aveva mai disegnato una storia di Double Duck. Anche se in casa Disney lo considerano una delle matite di punta. Adesso, però, il disegnatore triestino si è tolto questa soddisfazione. La prima sventagliata di tavole che ha realizzatio per la storia ”Una missione lunga tre giorni” apre il numero di ”Topolino” in edicola in questi giorni.


Classe 1971, cresciuto alla Scuola di disegno Disney, ma posseduto dalla passione per i fumetti fin da quando era ragazzino, Pastrovicchio racconta in questo ”prequel”, con uno stile pulito e di grande effetto, l’inizio della carriera da agente segreto di Paperino. Ovvero, la trasformazione da papero sfortunato in uomo di punta della segretissima Agenzia.


«Double Duck è un personaggio che mi è sempre piaciuto - ammette Lorenzo Pastrovicchio - Forse perché, come Pk, tira fuori la parte più avventurosa di Paperino. Non racconta sempre e solo le sue sfortune. Però non mi avevano mai affidato una sua storia da disegnare. Fino all’estate scorsa».


Quando ha ricevuto una chiamata dalla Disney...

«Mi hanno proposto di disegnare la nuova storia di Double Duck. Devo dire che ero reduce da un’altra estate di lavoro massacrante. Nel 2009, infatti, mi avevano affidato la storia di Wizards of Mickey: ben 150 tavole. Però, in quel caso, la Disney non aveva voluto osare».


In che senso?

«Avevano preferito il taglio classico delle vignette. Non una soluzione più dinamica alla Pk. Per questo Wizards of Mickey mi aveva appassionato un po’ meno. Questa volta, mi hanno ingaggiato a metà luglio. A dire la verità, me la stavo prendendo un po’ comoda, vista la maratona di disegni dell’estate precedente».


Che tempi le hanno dato?

«Stretti, come sempre. In due mesi dovevo preparare quattro puntate. Questo significava perdere dietro ai disegni tutto agosto e tutto settembre. Però, l’occasione di disegnare Double Duck mi emozionava davvero. Quindi ho detto sì».


Chi ha scritto la storia?

«Due sceneggiatori: Fausto Vitaliano e Marco Bosco. La supervisione del colore è affidata sempre al bravissimo Max Monteduro, con cui avevo già lavorato per Pk. Oltre alle quattro puntate ho disegnato anche due copertine. Una grande soddisfazione, perché non è così scontato che chi realizza la storia firmi, poi, anche la cover».


Ha iniziato a disegnare in maniche corte...

«E ho finito che uscivo già con il giubbotto. Un lavoraccio. Vedevo i giorni che passavano velocissimi e l’ansia cresceva. Tenevo un ritmo folle: quattro tavole a matita al giorno per tutto il mese di agosto. Poi da settembre, per un mese e mezzo, mi sono dedicato alla rifinitura con le chine».


Non meriterebbe un albo tutto per sé, Double Duck?

«Senza dubbio. Come Pk, però il momento per l’editoria italiana non è meraviglioso. Anche la Disney deve fare i conti con la crisi e preferisce non creare testate nuove. Peccato, perché un po’ di tempo fa ho presentato un progetto di restyling del personaggio Macchia Nera».


È piaciuto?

«La direttrice, Valentina De Poli, era entusiasta. E anche dispiaciuta di non potergli dedicare qualcosa di più. Alla fine, credo che uscirà su Topolino».


Non ama molto uno stile di disegno ”estremo”?

«No, anche in questa storia ho preferito uno stile pulito. La linea chiara. Non amo troppo le soluzioni estreme, anche perché stiamo parlando di una storia per Topolino. E la testata è dedicata anche ai lettori più ”conservatori”. Su Pk ho sempre osato di più. No, non mi considero un allievo del grande Giorgio Cavazzano, però ammiro l’ordine, la precisione del suo disegno».


Chi è stato il suo maestro?

«Sono arrivato alla Scuola Disney nel 1992. Il nostro punto di riferimento era Giambattista Carpi. Ci insegnava a guardare con grande attenzione gli autori più bravi, ci spronava a imparare da loro, a imitarli. Importante per la nostra formazione è stato Roberto Santillo, che adesso è il direttore dell’Accademia. Un disegnatore di talento».


È partito dall’Istituto d’arte Nordio?

«Sì, e poi mi sono iscritto all’Università: Ingegneria civile edile. Ho lasciato dopo un paio d’anni, com grande dispiacere dei miei genitori. In realtà volevo fare il disegnatore. Era una passione di sempre. Così, ho cominciato a telefonare alla Scuola Disney, chiedevo un incontro per sapere se valevo davvero. È stato proprio Carpi a ricevermi, a incoraggiarmi».


Cosa disegnava da ragazzo?

«Mi piaceva molto il disegno umoristico: Lupo Alberto, Sturmtruppen, Cattivik. Anche i supereroi. Leggevo tanto, mi è mancato solo il fumetto d’autore. Ho recuperato molto più tardi autori come Pratt, Battaglia, Giardino. Del resto, in edicola non si trovavano le loro opere. E fumetterie in giro non ce n’erano tante».


Milano è stata un’incubatrice fondamentale per lei?

«Senza dubbio. Io ero solo bravo a disegnare. Ma chiacchierando con gli allievi della Scuola del fumetto ho potuto recuperare quegli autori che sono diventati, poi, veri punti di riferimento. Adesso, la mia libreria ha assunto dimensioni impressionanti».


Prossima storia?

«Una storia classica di Topolino. Insieme al Professor Zapotek vanno a cercare un’erba antropomorfa e si scontrano con Kranz, il cattivo delle avventure di Indiana Pipps. Sto cercando di disegnare con uno stile un po’ psichedelico. Alla Hellboy, per intenderci».


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