Covid, i testimoni di Geova abbandonano il porta a porta

MONFALCONE Se si pensa a un testimone di Geova lo si immagina all’ultimo scalino, davanti a una porta, mentre solleva l’indice per suonare il campanello. Ma questi mesi travagliati, complessi e cattivi, hanno ridisegnato le azioni delle persone modificando abitudini, rapporti e libertà. Incidendo perfino nella possibilità di fare proseliti vis à vis. Non hanno piegato, però, la fede quando c’era. E così, tra le tante storie di attaccamento a un dio nel dolore, c’è quella di Gabrio Schiavi, pensionato di 75 anni, testimone di Geova che vive in una casa popolare di San Canzian d’Isonzo: dallo scoppio della pandemia, anziché presentarsi di persona a una porta, lui scrive. Scrive lettere su un foglio a righe, di quelli dei quadernoni di scuola, a mano. Con una calligrafia minuta e precisa scandisce messaggi di solidarietà e conversione, cercando di entrare in una casa che non conosce in punta di piedi, con semplicità. Allega un piccolo dépliant, con i riferimenti dei contatti per chi volesse approfondire e pure un codice Qr per seguire un video, se fosse d’interesse.
Salta fuori che il pensionato, di lettere, ne ha scritte «una trentina» da marzo, ma molte di più sono state le telefonate effettuate a cittadini del mandamento, nel suo caso attingendo alle Pagine bianche. Sempre a sue spese, come per le buste e l’affrancatura: fa parte della “missione”. Da quando c’è il Covid-19 Gabrio Schiavi e con lui probabilmente il migliaio di testimoni di Geova professanti nella Bisiacaria (la sede è in via Marzio Moro 6 a Monfalcone) ha dovuto modificare il modo di entrare in contatto con quelli che chiama «fratelli». E alla fine il coronavirus ha stravolto anche le modalità di avvicinamento alla spiritualità. Come peraltro accaduto nelle chiese cattoliche durante il lockdown della scorsa primavera, quando perfino i riti di commiato ai morti sono saltati nelle forme consolidate.
La storia di Gabrio viene a galla per una lettera inviata a un papà che è mancato, non c’è più da un anno. La figlia la intercetta e rende pubblica. Ma anche la vicenda del 75enne è, a suo modo, particolare: con una conversione che nasce quasi mezzo secolo fa nel cantiere di Panzano. Dove Schiavi afferma d’aver trovato la «verità». La fede tra lamiere e saldature, dove per un accidente ci può scappare l’improperio. «Sono nato a Carpi, ma gran parte della mia gioventù si è consumata a Genova, dove una signora piemontese mi fece vedere la prima pubblicazione di questa religione – racconta –. La verità, però, la conobbi a Monfalcone nel ’74, nel cantiere dove sono stato operaio: c’era un uomo abruzzese, di Chieti, e grazie a lui mi avvicinai alla fede, che da allora non ho mai abbandonato. Le sue parole, da testimone di Geova, mi colpirono tanto. Ero un tabagista incallito: quando stavo sulle petroliere fumavo ogni tipo di tabacco, ma alla fine solo Dio riuscì a farmi smettere e a salvarmi. Lo dico perché pochi anni fa ho perso una sorella per un cancro ai polmoni». «La nostra religione – aggiunge – impone di evitare tutto ciò che può contaminare, nuocere allo spirito e al fisico». Quindi il battesimo, che per i testimoni di Geova – 8 milioni e mezzo nel mondo –, avviene da adulto: Schiavi lo fece in mare, a Ravenna dove si poteva, in quegli anni, fare la cerimonia.
Ma qual è stata la reazione delle persone alle lettere e alle telefonate ai tempi della pandemia? «A parte questa lettera – replica – nessuno ha mai risposto per iscritto. Al telefono è diverso: certe persone ascoltano, c’è qualche scambio di parola, ma purtroppo non credono tanto. Rispondono che hanno la loro religione o che sono atei. Ovviamente io non sforzo nessuno. Ogni possibile conversione deve essere frutto di una consapevolezza o di un convincimento personale». Prima del Covid-19 Gabrio Schiavi dedicava anche due o tre ore a questa “missione”, entrando in contatto con le persone: «Tutti noi lo facciamo perché amiamo Dio e il prossimo, per nessun altro farei altrettanto». Fa parte del credo: ogni testimone diffonde l’insegnamento del movimento religioso porta a porta, si tratta appunto di una “missione”. Solo il Covid ha scardinato il precetto, ma, restando nella sfera biblica, le vie del Signore sono infinite. –
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Il Piccolo