Crac della Alikè, Valenti patteggia due anni e 6 mesi

Alikè, ognuno per la sua strada.
Gianluca Valenti ex amministratore della holding immobiliare - fallita il 19 febbraio 2009 con un crac da 25 milioni di euro e proprietaria, tra l'altro, di villa Hausbrandt a Trieste - ha pagato alla curatela un milione e 450mila euro. Così ha potuto patteggiare, davanti al giudice Laura Barresi, la pena di due anni e 6 mesi per l’accusa di bancarotta fraudolenta. Era presente il pm Antonio Miggiani che ha acquisito il fascicolo dal pm Federico Frezza. Nell’accordo stipulato il 19 ottobre del 2011 il giudice Barresi, d’intesa col pm Frezza, aveva condizionato il pagamento della somma complessiva di tre milioni di euro all’ammissione al patteggiamento.
Ma se Valenti ha messo sul piatto della bilancia la totalità delle quote di una società immobiliare di Tarvisio proprietaria di terreni del valore, sulla carta, di un milione e 450mila euro, l’altro ex amministratore, Dimitri Passaro, dopo svariati rinvii del pagamento alla fine attraverso i suoi difensori, gli avvocati Alberto Tarlao e Livio Grapulin, ha fatto sapere di non avere la possibilità di versare. E allora per il manager (diventato lo scorso anno co-amministratore delegato e direttore finanziario di una società italo-serba fotocopia del Gestore dei servizi energetici italiano) è scattato il rinvio a giudizio.
L’udienza per lui è stata fissata per il prossimo 4 febbraio. Lo scorso 30 ottobre la società di Passaro ha sottoscritto un accordo con la Serbia per la realizzazione del progetto OneGiga, il più grande parco fotovoltaico al mondo. Ma i soldi per chiudere la vicenda Alikè non li ha trovati.
I circa tre milioni di euro sarebbero dovuti servire per pagare una parte dei debiti. Una goccia nel mare della voragine stimata all'epoca in oltre 20 milioni. Tuttavia nei mesi scorsi attraverso la cessione di cespiti come il palazzo Ras o villa Hausbrandt una parte della voragine debitoria è stata sanata. Proprio nella villa di viale Miramare 241 aveva sede la holding poi crollata miseramente. L’indagine era stata avviata dall'allora pubblico ministero Raffaele Tito ed "ereditata" dal collega Federico Frezza. Ai due imputati vengono contestati numerosi episodi di bancarotta fraudolenta, di evasione fiscale collegata a fatturazioni per operazioni inesistenti.
L’indagine aveva messo a fuoco il sistema ideato dai due soci: una sorta di catena di Sant'Antonio. Gli immobili venivano ceduti da una società all'altra, con valori sempre crescenti. Le rivalutazioni consentivano di accedere a finanziamenti bancari sempre più consistenti e ingiustificati. Nel verso opposto decine di fatture false riducevano la base imponibile degli immobili rivalutati.
Nella stessa udienza hanno patteggiato davanti al giudice Laura Barresi anche Angelo Allegretta, ex presidente del collegio sindacale di Aliké; e Manuela Romita, ex revisore dei conti di Aliké investiments. Anche loro hanno risarcito (65mila euro il primo, 20mila la seconda) e hanno potuto patteggiare la pena di 20 mesi.
A giudizio (la data è sempre del 4 febbraio) è finita invece Giuliana Giammello, 56 anni, ex funzionario della Cassa di risparmio del Friuli Venezia Giulia. È accusata di falso in bilancio per aver eseguito operazioni che hanno provocato la bancarotta. Il 6 febbraio 2006, dopo la chiusura della filiale di Ronchi, alla presenza di Passaro e Manuela Romita ha effettuato una serie di movimenti bancari alquanto bizzarri per la somma complessiva di 4 milioni e 500 mila euro. Soldi che sono usciti dai conti di Passaro e Valenti per poi tornare dopo un giro vorticoso negli stessi depositi. Insomma un'operazione che, secondo la Procura, è servita sostanzialmente per distrarre le somme dal patrimonio di tutte le società.
La posizione dell’altro funzionario indagato, Enrico Baracani della Cassa rurale e artigiana di Staranzano e Villesse è stata invece rimandata al pm. In quanto il giudice Barresi ha eccepito la nullità dell’imputazione.
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