Crollo dei matrimoni in città Snobbato anche il municipio

Numeri dimezzati, rispetto alle 90 coppie di una volta, negli ultimi quattro anni Lieve ripresa durante il 2019 con 45 unioni: 10 religiose e 35 con rito civile
Bonaventura Monfalcone-30.04.2016 Primo matrimonio celebrato alla Rocca di Monfalcone-foto di Katia Bonaventura
Bonaventura Monfalcone-30.04.2016 Primo matrimonio celebrato alla Rocca di Monfalcone-foto di Katia Bonaventura



Uno non fa in tempo a rallegrarsi dell’investimento che la giunta Cisint vuole porre sulla Rocca per trasformarla nel tempio dell’inossidabile “Sì, lo voglio” che a suonare il requiem arriva il dato sul crollo dei matrimoni a Monfalcone. Altro che marcia nuziale. Dopo tre lustri di sostanziale tenuta delle unioni registrate allo Stato civile (90 coppie convolate a nozze nel 2000 e altrettante, tre lustri dopo, nel 2015), arriva la battuta d’arresto, il calo a picco. E sì che la città dei cantieri, solo fino a quattro anni fa, pareva una felice eccezione davanti alla fotografia statistica di un’Italia che non si sposa più.

Nel 2017, infatti, si sono celebrati 40 matrimoni, tra civili (28) e religiosi (12); l’anno seguente 42 (33 e 8), mentre da gennaio a oggi il report dello Stato civile consegna 45 fatidici sì (35 davanti a pubblico ufficiale, 10 al ministro di culto), il che fa comunque sperare per una ripresa delle unioni, vista la lieve crescita.

Al solito, comunque, di nuove coppie ne sposa più il sindaco che il parroco: 2018 annus horribilis quasi come il 2016, quando si toccò il minimo storico delle (sole) 6 coppie all’altare. La ritirata dal rito religioso sembra inarrestabile, mentre le unioni professate davanti alla prima cittadina o a un delegato in fascia tricolore appaiono in linea (34 erano nel 2016 e anche nel 2014).

Un altro dato che stimolerà riflessioni riguarda invece le coppie “scoppiate”, con 16 sentenze di divorzio ricevute e annotate quest’anno, di cui 3 con iter veloce, mentre appena quattro anni fa, nel 2015, erano state ben 29 le separazioni-lampo registrate da maggio a dicembre, all’esordio cioè del nuovo istituto giuridico che velocizza la procedura. Della serie: non ci si sposa e nemmeno ci si dice più definitivamente addio. Invece si preferisce convivere, con o senza figli. E capita pure che si resti sotto lo stesso tetto da ex, separati in casa: questo perché la precarietà delle occupazioni impedisce la ricerca di una seconda dimora e con un mutuo a metà si resta assieme pure quando la distanza tra i cuori si è fatta abisso.

Don Renzo Boscarol, guida spirituale delle coppie che decidono di sposarsi in chiesa propone, sempre a gennaio, degli incontri ai promessi sposi per «confrontarsi sulla famiglia». «Ogni anno – spiega – è diverso: ci sono periodi in cui tutti gli iscritti sono giovanissimi e altri in cui i futuri coniugi hanno superato i 40. Oppure arrivano e hanno alle spalle già 5 o 6 figli». Insomma, situazioni in cui anche don Renzo si trova a «imparare». Ma come mai la fede, intendendo l’anello, non è più inossidabile? «C’è molta difficoltà – replica – ad assumersi responsabilità davanti alla società e ai parenti: si vede il matrimonio come un peso insostenibile». Sovente non incoraggia l’esperienza personale, se è vero che «più della metà dei bambini della prima comunione ha un letto a Ronchi e uno in un’altra città». Cioè figli di genitori che hanno visto naufragare l’unione. «C’è poi chi – prosegue il don – non si sposa perché ha un lavoro che non consente progetti. Mentre qualcun altro, con superficialità, ritiene si debbano spendere decine di migliaia di euro per le nozze, complice anche la società dell’immagine che ti reputa uno sfigato se nel giorno più bello della vita non fai una festa coi fiocchi. Ma uno mica si deve indebitare per intraprendere quest’esperienza. Poi ci sarebbe pure la questione del maschio che non ne vuole sapere perché, vuoi per le chiacchiere sulla parità, teme di finir ingabbiato».

E come se ne esce? «La famiglia – conclude – è importante e bisognerebbe iniziare a farla vivere da piccoli. Questo vale per la società e la Chiesa. Si deve iniziare a condurre vite di famiglia, non di singoli. Ai giovani dico che ne se devono formare una loro, tutta nuova, ma con valori perenni. È la sfida delle prossime generazioni». –



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