Da Cinecittà fino a San Giovanni I primi vent’anni dei maxi autobus

Una mattina di vent’anni fa, a Trieste comparvero per la prima volta degli autobus più lunghi di quelli visti fino a quel momento, cioè dei veicoli con la coda che a più di qualcuno potevano far ricordare un connubio tram e rimorchio: si trattava dei primi bus autosnodati urbani da 18 metri. Gli stessi parcheggiati eccezionalmente in piazza Unità alcuni giorni fa per festeggiare l’anniversario.Un tipo di veicolo nuovo per la città, in grado di trasportare quasi il doppio di persone rispetto ad un normale autobus e caratterizzato da un particolare snodo centrale del veicolo che permette di unire due semi - casse in modo da potersi muovere agevolmente nel traffico cittadino. Un’invenzione tutta italiana ideata nel 1938 dall’ingegner Mario Urbinati, allora direttore tecnico della Stefer di Roma (la stessa azienda che nei primi anni Sessanta acquisterà dall’Acegat sei tram da utilizzare sulla linea Termini - Capannelle e per Cinecittà), che verrà applicata in quegli anni sui tram in servizio nella capitale.
Ma la “giostra Urbinati”, così si chiama questo particolare snodo, dopo 80 anni si rivela ancora un sistema innovativo e competitivo installato non solo su veicoli italiani ma anche europei. L’arrivo a Trieste di questo veicolo lo si deve a Giuseppe Pagliari, ex capo movimento ACT in pensione, che già molti anni prima dell’introduzione in città di questi autosnodati aveva intuito la loro grande potenzialità. «Personalmente ho sempre pensato - afferma Pagliari - che per invogliare la gente a viaggiare sui mezzi pubblici questi debbano essere comodi e confortevoli, evitando che la gente viaggi ammassata».
A cavallo degli anni ’80 e ’90, vari prototipi di autosnodati da 18 metri costruiti dalla carrozzeria De Simon di Osoppo effettuano delle corse di prova per vedere il loro possibile impiego in ambito triestino. I risultati sono positivi ma i tempi non sono ancora maturi.
Nel frattempo cambiano le dinamiche e i triestini si dimostrano grandi frequentatori del trasporto pubblico. «Negli Anni Novanta l’introduzione degli autobus da 18 metri – continua l’ex dirigente - ormai era una vera e propria necessità: infatti in quel periodo era aumentato in modo esponenziale il numero di passeggeri specialmente sulle linee 9 e 10. Quindi effettuare il servizio con un normale bus da 12 metri non era più sufficiente, anche aumentando la frequenza dei passaggi fra una corsa e l’altra».
Però non uno sfizio bensì una necessità per sopperire alle richieste dell’utenza. «All’inizio non è stato semplice – conclude Pagliari – introdurre in città il concetto dell’autobus articolato da 18 metri, in quanto si reputava che potesse diventare un ostacolo alla circolazione veicolare normale. Però questa tipologia di veicolo ha una grande caratteristica che non tutti riescono a cogliere: essendo composto da due semi - casse, se passa la prima parte simile a un bus da 10,5 metri, può passare anche la seconda e quindi risulta facilmente utilizzabile su vari percorsi urbani».
Ma in vent’anni come è cambiato l’impiego di questi biscioni in città? «Rispetto al 1999 è cambiato poco – afferma l’ingegner Giuseppe Zottis, neo direttore di esercizio di Trieste Trasporti – in quanto vengono utilizzati sulle linee di forza come la 9, 10, 17/ e d’estate sulla 36, nonché in concomitanza di grandi eventi sportivi o concerti. Mentre è sicuramente aumentato il numero di veicoli per famiglia, con un conseguente aumento del traffico e con tutto ciò che questo comporta. Invece il parco mezzi aziendale ha visto l’arrivo di bus di nuova concezione dotati di una serie di comfort per l’autista e i passeggeri, nonché di dotazioni di sicurezza varie come l’impianto di video sorveglianza. Inoltre ampio spazio è riservato ai disabili e passeggini, senza dimenticare che Trieste è una delle pochissime città italiane dove l’incidenza del trasporto pubblico sull’inquinamento è fra le più basse». —
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