Da Trieste al Canada costruendo un impero di alberi, fiori e piante
«Se faccio un bilancio della mia vita, ho avuto più gioie che dolori. Sì, rifarei tutto da capo». Remigio Cramerstetter aveva ventidue anni quando, con la moglie e un bambino nato da venti giorni, salì sulla nave che da Trieste l’avrebbe portato in Canada. In tasca aveva soltanto 35 dollari. Dietro di sé lasciava le colline dell’Istria e anni di vita a Trieste. Oggi questo 77enne con le energie di un ragazzino è a capo della Cramer Nursery Inc, un’azienda con sedi in Quebec e negli Stati Uniti che rifornisce di alberi e fiori i parchi di tutto il Nordamerica, e non solo. Divide la sua vita fra la famiglia, il lavoro, le case in Canada e negli Usa. Il suo sogno è poter fare qualcosa per l’Istria e Trieste, le terre che non ha mai smesso di sentire sue.
Signor Cramerstetter, dove inizia la sua storia?
Sono nato a Castelvenere, Istria naturalmente, nel 1936. All’inizio del 1956 sono venuto a Trieste, al campo profughi di Padriciano. Sono rimasto là tre o quattro mesi. Ricordo che una volta la temperatura scese a 16 gradi sotto zero: un principio di congelamento mi gonfiò il volto, dovettero ricoverarmi. Ricordo anche tanta fame. Il cibo era poco nutriente e si poteva passare cinque volte a farsi riempire il piatto alla mensa senza riuscire a liberarsi del buco nello stomaco.
Poi cosa è successo?
Dopo il campo mi sono trasferito in città, all’inizio in via Manzoni, in seguito a Opicina. Ho trovato un lavoro alle Noghere. Ma la mia vita è cambiata per davvero l’8 marzo del 1957, quando con mia moglie e mio figlio appena nato siamo salpati per il Canada. Partivamo per un Paese di cui non sapevamo niente, di cui non parlavamo le lingue. Abbiamo avuto coraggio: ma a quei tempi eravamo giovani, non si prendeva in considerazione la possibilità che le cose potessero andar male.
Com’è stato l’arrivo in Canada?
Dopo un lungo viaggio ci siamo ritrovati a Montreal, in Quebec. La sera stessa del nostro arrivo, sul treno, ho incontrato della gente che cercava lavoratori disponibili a fare il giardiniere. Non conoscevo affatto quel mestiere, eppure mi offrii.
Inizia così la sua lunga storia d’amore con la botanica.
Trascorsi tre anni e mezzo a lavorare con loro. Imparai molte cose sui fiori, sulle piante, sui giardini. I miei colleghi erano olandesi, tedeschi: tutti buoni giardinieri. Poi decisi di mettermi in proprio: nel 1962 aprii il primo centro di giardinaggio a Montreal. Iniziai ad acquistare terra: prima dieci ettari, poi cento, poi trecento... E avanti così. Nel 1967 ebbi l’occasione di coprire le forniture dell’Expo, nel 1976 quelle dei Giochi Olimpici, inoltre per quattro anni ho lavorato alle piante della capitale di Ottawa. In seguito, nel 1980, ho comprato delle proprietà su un’isola del Sud Carolina, negli Usa. Gli affari andavano bene, tanto che alla fine degli anni ’80 ho comprato una casa a Miami, in Florida.
Oggi il suo lavoro in cosa consiste?
Oggi la nostra attività d’affari consiste per l’80% in ingrosso. Coltiviamo oltre 500 ettari di terra e forniamo piante per giardini, parchi, vie. Vendiamo fiori, alberi, cespugli: di tutto. I nostri principali clienti sono in Quebec, ma operiamo anche in Ontario e nelle province marittime del Canada. Vendo molto anche negli Stati Uniti, un po’ dappertutto. Il lavoro mi porta a stare via da casa per quattro mesi all’anno. Per fortuna ora due dei miei tre figli stanno iniziando a prendere le redini dell’impresa.
Quante persone lavorano nella Cramer?
All’incirca centoventi persone. È un gruppo molto cosmopolita. Tutti i giorni si parlano come minimo quattro lingue: francese e inglese, che sono le lingue del Canada, ma anche spagnolo e, ovviamente, italiano.
Torna spesso da queste parti?
Visito Trieste e l’Istria una volta ogni due, tre anni.
Come sono cambiati questi luoghi nel corso dei decenni?
Da qualche anno Trieste continua a migliorare. Le Rive oggi sono molto belle, ricche di fiori e aiuole. Certo la città ha un’aria molto migliore rispetto ai tempi in cui ci vivevo, negli anni Cinquanta.
Lei i parchi li conosce bene. È stato a Miramare di recente?
L’ultima volta cinque anni fa. Oggidì mi dicono che sia piuttosto abbandonato: è un grande peccato. Il castello di Miramare è una cartolina impareggiabile per Trieste. Una risorsa che non si dovrebbe abbandonare al degrado.
Il Porto vecchio. Uno spazio simile resterebbe inutilizzato anche in Canada?
Sì, potrebbe succedere anche lì. Ma non a lungo: è uno spazio con un valore troppo alto per essere dimenticato. Ci si potrebbero fare residenze, hotel, valorizzare gli edifici storici. Penso che un problema, un po’ come dappertutto, sia l’eccesso di burocrazia. La libertà è un ingrediente fondamentale del benessere.
Ha mai pensato di investire a Trieste?
Sarebbe bello, questa città è parte di me. Non conosco abbastanza le possibilità di qui, ma sì: mi piacerebbe.
Cosa pensa invece dell’Istria?
Che dire? Quando me ne sono andato l’Istria era quel che era. Poi è anche peggiorata. Ora inizia di nuovo a migliorare.
Si sente ancora istriano?
Le radici non vanno mai perse. Io vivo in Canada da più di cinquant’anni, eppure mi sento ancora parte dell’Istria.
Pensa di tornare a viverci, un domani?
Mi piacerebbe molto. Forse vorrei anche morire là. In passato avevo pensato di acquistare un vivaio a Salvore: avrei saputo come farlo fruttare. Purtroppo le leggi croate non mi consentivano di comprarlo. A differenza della Slovenia, mi pare che in Croazia esista ancora una forma di chiusura. Spero che una volta che saranno entrati per davvero nel mercato comune potranno integrarsi a pieno titolo. Trieste avrà un compito importante in questa apertura: le fratture del passato vanno superate.
Insomma, il bilancio della sua vita è positivo.
Oh sì. Rifarei tutto da capo.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Il Piccolo