Dagli dei alla finanza la vera idea di potenza è conoscere i propri limiti

la recensionePer lo meno inquietante è il viaggio dentro l'idea di potenza, come si è sviluppata nel corso del tempo: lo propone il sociologo Mauro Magatti, nel suo “Oltre l'infinito. Storia della...
Interior of Temple of Zeus, Olympia, Greece illustration from book dated 1878.
Interior of Temple of Zeus, Olympia, Greece illustration from book dated 1878.

la recensione



Per lo meno inquietante è il viaggio dentro l'idea di potenza, come si è sviluppata nel corso del tempo: lo propone il sociologo Mauro Magatti, nel suo “Oltre l'infinito. Storia della potenza dal sacro alla tecnica”, appena uscito da Feltrinelli (pagg. 280, Euro 22,00). Il percorso inizia da lontano, da quando cioè la potenza non era prerogativa umana, ma divina. In base alle leggi volute da Dio si veniva così plasmando un modello sociale indirizzato a perseguire un ideale di salvezza interiore e di perfettibilità comportamentale. Ma dispiegando forza, conoscenza, organizzazione ed efficienza, le istituzioni create per governare, aprendosi alle richieste di una ragione laica, trovarono poi facilmente la possibilità di rimettere in discussione l'onnipotenza divina, aprendo ampi spazi alla libertà umana. Nel periodo in cui la disgregazione degli assetti medievali raggiunse il punto di non ritorno, la potenza, attraverso molte tappe, è stata declinata in rapporto alla possibilità di governare gli altri, e dunque alla politica. Si trovò connessa pertanto a un'idea di sovranità, il cui obiettivo era perseguire fini comuni, come dovrebbe volere ogni buongoverno. Ma tra Otto e Novecento la radicale trasformazione socio-economica della collettività, dovuta alla rivoluzione industriale, ha inaugurato un nuovo corso.



La società politica ha dovuto infatti supportare la crescita produttiva tramite il welfare, e incoraggiare il consumismo, appoggiando così la crescente domanda di beni, sia pubblici, come l'istruzione e l'assistenza sanitaria, che individuali, come l'automobile, la televisione, ora gli smartphone. L'individualismo si insinuava nei consumi e modificava progressivamente l'idea di sovranità, divenuta appannaggio del popolo, vero depositario di potenza e potere. A lui infatti il sistema tecno-economico pareva rivolgersi, per convincerlo ad acquistare i suoi prodotti e garantirsi così una crescita, anche piccola, di benessere costante. Invece del disciplinamento etico -religioso, o civile, venivano così promossi nuovi modelli di comportamento, commisurati alla sviluppo della tecnica. Questa infatti usa concentrarsi direttamente sui mezzi e sull'ampliamento delle possibilità di azione individuali, e generare un desiderio mai esausto di beni sempre nuovi. In questa infinita dinamica di sviluppo tecnologico, il "potente" è, apparentemente, il singolo consumatore. Ma nell'evaporazione di qualsiasi fine comune, ogni singolo "io" finisce per venire assoggettato a una logica impersonale che non è in grado di riconoscere e da cui non riesce a svincolarsi. Cosa è successo infatti in questi ultimi decenni? Il salto rispetto al passato è enorme perché la potenza si dispiega ora non tanto come controllo politico, ma come conoscenza scientifica capace di svelare i segreti della natura per dominarla e riprogrammarla.



L'allineamento tra industria, apparato burocratico e mercato aveva infatti creato i presupposti per la vittoria della società tecnica. È stata la rivoluzione informatica degli ultimi decenni a fornire nuovi linguaggi e schemi di calcolo attraverso cui la realtà, sezionata negli elementi che interessano, viene interpretata e manipolata. Ma quali sono i nuovi valori dominanti ? Efficienza, produttività, capacità di innovazione continua per raggiungere standard performativi sempre più alti. Si direbbe che sono qualità proprie della macchina più che della persona, indotta a farsi oggetto di manipolazione pur di raggiungere gli obiettivi richiesti dalla società tecnica. Il mercato, non a caso, ha fatto del bene più prezioso, la salute, uno dei suoi business principali, con offerte di prodotti e tecniche per incrementare standard di efficienza biologica, fisica e psichica.



Ed è solo un esempio, ma significativo: basti guardare a come viene progettata l'evoluzione della specie umana, la cui complessità viene spesso ridotta all'elencazione dei singoli fattori genetici, da scomporre e ricomporre a piacimento, come in un puzzle. Pur di essere perfetti bisogna evitare qualsiasi rischio, e dunque si comincia con l'eliminare patrimoni genetici difettosi, in un probabile crescendo che potrebbe far scomparire la presenza umana addirittura nell'atto della procreazione. La società tecnica sembra dunque muoversi per ridurre sempre più la distanza che separa l'essere umano dalla macchina Il punto d'arrivo della ricerca avanzata non pare tanto il benessere delle persone, ma la performance dell'uomo "aumentato" nel suo cervello e nella sua fisicità. Il fine è arrivare alla realizzazione di una super-potenza che dovrebbe superare i migliori cervelli umani in ogni campo cognitivo. Certo, non è difficile scorgere, al fondo, l'ingenua ed antica ricerca dell'immortalità, che ora però, grazie ad algoritmi sempre più sofisticati, punta a una sorta di divinizzazione dell'umano, espressione della volontà di potenza, in questa fase storica, della tecnologia. La sforzo non è più indirizzato, come nelle società religiose, ad esercitare meglio la virtù; né, come in quelle politiche, a costruire una società ideale, ma ad aumentare la potenza dell'individuo, progettato con componenti manipolate per renderlo più affidabile ed efficiente, a immagine e somiglianza delle macchine che l'uomo stesso ha costruito.

Siamo dunque a un passo da una trasformazione antropologica impressionante, seppur sembra essersi inceppato il meccanismo generativo della società tecnica: questa non è riuscita insomma a mantenere la promessa di una crescita costante, e i mercati lo raccontano preoccupati. La crisi finanziaria del 2008 ha infatti bruscamente interrotto i sogni di un benessere crescente dei singoli. Le persistenti difficoltà economiche, l'ondata di assurde violenze individuali, i movimenti migratori di popoli interi provocano angoscia, che, si sa, è il movente principale per la formazione di regimi autoritari. Mentre sono all'ordine del giorno le bordate antiumanistiche della "razionale" cultura tecnologica, la crisi ha rimesso in circolazione ciò che sembrava essere stato sepolto, la società politica.



Questa dal canto suo torna a far riferimento all'idea di sovranità come base della potenza; il populismo, a sua volta, mostra tutta la difficoltà da parte dell'establishment nel riconoscere la natura di quanto sta accadendo. Incapace di porre rimedio al disorientamento avvertito da larga parte della popolazione, non è più in grado di rallentare i cambiamenti di un mondo troppo complesso e veloce per essere alla portata dell'esistenza quotidiana.

Marco Magatti invita a correggere la rotta, e a diffidare dal bisogno di perfezione imposto dalla società tecnica, per prendere in considerazione piuttosto tutta l'imperfezione, i limiti, le ingiustizie che non è riuscita ad eliminare. E che forse ha contribuito ad alimentare, vista l'algida concettualità in base alla quale si è mossa una parte rilevante della ricerca. Il paradigma scientifico, che frammenta la realtà in elementi tra loro spesso sconnessi, ha finito per impoverire la vita, facendola astratta, fredda, distaccata, oggettiva. Forse siamo ancora in tempo a riprenderci e a rivalutare positivamente quella parte di noi che rifugge la perfezione promessa e che si alimenta delle esperienze relazionali, cognitive, affettive, spirituali: uniche, seppur imperfette. Forse è giunto il momento di fare un coraggioso passo indietro, porre rimedio all'impoverimento del nostro vissuto e orientare verso altri valori l'azione sociale, perché, come dice un proverbio africano, "per far crescere un bambino ci vuole un intero villaggio". —





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