Dai confini della steppa russa è ritornata la Guerra fredda

La secessione in atto nel Sudest dell’Ucraina ricorda lo sfaldamento accaduto nella ex Jugoslavia. Il regista ha un nome: Putin. E molti interessi, iniziando dal gas
Di Mauro Manzin ; ©riproduzione Riservata
Russian Prime Minister Vladimir Putin (L) puts his autograph on the pipe during a ceremony of launching the Sakhalin-Khabarovsk-Vladivostok gas pipeline, in Vladivostok, Russia, on 08 September 2011. ANSA/ALEXEY DRUZHINYN MANDATORY CREDIT / RIA NOVOSTI /*** NO SALES NO ARCHIVES NOT FOR USE AFTER 08 OCTOBER 2011***
Russian Prime Minister Vladimir Putin (L) puts his autograph on the pipe during a ceremony of launching the Sakhalin-Khabarovsk-Vladivostok gas pipeline, in Vladivostok, Russia, on 08 September 2011. ANSA/ALEXEY DRUZHINYN MANDATORY CREDIT / RIA NOVOSTI /*** NO SALES NO ARCHIVES NOT FOR USE AFTER 08 OCTOBER 2011***

di Mauro Manzin

La Guerra fredda è tornata. E ha iniziato a far sentire i suoi refoli ghiacciati ai limiti della steppa russa, in quella regione di Lugansk, nel Sudest dell’Ucraina e nella regione di Odessa dove la popolazione continua a parlare russo e a emanare anche i suoi principali atti amministrativi nella lingua di Tolstoj.

Una vera e propria guerra di secessione che tanto ricorda lo sfaldamento della ex Jugoslavia negli anni Novanta. Il “grande architetto” di quanto è avvenuto in Ucraina ha un nome e un cognome. Si chiama Vladimir Putin, infatti, l’uomo che vista la virata di Kiev, sotto la sollevazione di piazza che ha incendiato i palazzi del potere della capitale ucraina, verso l’Unione europea (ma quante e quali sono le responsabilità delle barricate in piazza Maidan targate Germania o Stati Uniti?) ha innescato l’insurrezione delle province russe in Ucraina dichiarandole, alla fine dela festa, territorio russo a tutti gli effetti.

Dietro ai venti freddi dell’Europa Nordorientale c’è anche la grande guerra per il gas. Kiev non riesce più a pagare l’enorme debito accumulato per le forniture dalla Russia, l’economia collassa, il caos sociale esplode quasi spontaneo e si trasforma in facile massa da manipolare. Da Est come da Ovest.

A fine 2014 la “campagna d’Ucraina” quasi non occupa più le pagine dei quotidiani. Ma la guerra sul campo continua con un inesauribile stillicidio di morti e di odio che non smette di accumularsi.

Ora risalta di più la battaglia economica in atto tra Mosca e Bruxelles com Gazprom che rinuncia la suo mega progetto denominato South Stream, il prezzo del barile del petrolio che croalla portando con sè il rublo oramai in caduta libera. E Putin continua a mostrare i denti ammonendo nel suo messaggio di fine anno di non infastidire l’orso russo.

Niente di nuovo, invece, dal fronte dei Balcani occidentali con la neonata stella d’Europa, Croazia che barcolla di fronte a una cirsi socio-economica che rischia di farle fare la fine della Grecia. Belgrado predica di voler aderire all’Unione europea, ma poi razzola male nel senso che non perde occasione per strizzare l’occhio a Mosca e a Pechino, pronte a sganciare fior di miliardi pur di tenere lontana la Serbia dall’orbita di influenza occidentale. E il mai sopito nazionalsimo serbo dà la sua mano alle sirene targate Russia o Cina.

Per Belgrado la strada verso Bruxelles non è neppure iniziata visto che ancora non sono stati aperti i primi capitoli di mediazione nel proceso di adesione, il Kosovo resta là, riconosciuto anche dal Comitato olimpico internazionale (andrà con la sua bandiera e i suoi atleti alle Olimpiadi di Rio de Janeiro) ma ovviamente non dalla Serbia e enanche da altri sette stati europei, Spagna in primis che teme un effetto Catalogna.

Disastroso anche il panorama a Sud. L’estremismo islamico si è riorganizzato addirittura in un Califfato che continua a spargere morte e orrori in tutto il Medio Oriente, dalla Siria all’Iraq. L’appendice più pericolosa è quella curda. La Turchia infatti continua a guardare con sospetto l’attività bellica anti-jihadista dei peshmerga temendo in una forte rinascita del separatismo curdo all’interno dei suoi confini.

Se andiamo poi nel Nordafrica scopriamo che la cosidetta Primavera araba ha trasformato i regimi autoritari di una volta in una palude di bande armate più o mene jihadiste che continuano a combattersi e a rendere l’intera regione ingovernabile. Il bubbone è costituito dalla Libia.

Un ultimo doveroso pensiero va ai nostri marò. La situazione non è migliorata. Ora uno è rientrato in Italia per motivi sanitari ma uno è rimasto là e la posizione complessiva della nostra diplomazia è, in questo momento, forse nella fase più debole di tutta la vergognosa vicenda.

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