Dal cirillico d’obbligo alla Giornata dell’unità. Ecco come la Serbia spinge sull’orgoglio di patria

Il parlamento di Belgrado e quello della Republika Srpska approvano leggi mirate a incentivare lo storico alfabeto al posto del latino
Stefano Giantin
Aleksandar Vučić alle celebrazioni della Giornata dell’unità dei serbi Foto Presidenza serba
Aleksandar Vučić alle celebrazioni della Giornata dell’unità dei serbi Foto Presidenza serba

BELGRADO Difesa per legge del cirillico contro la presunta minaccia dell’alfabeto latino. Bandiere nazionali da esibire con orgoglio ben oltre i confini nazionali. E una nuova festività, la “Giornata dell’unità” del popolo serbo, pensata per celebrare i serbi di Serbia e quelli che vivono nei Paesi limitrofi, rinsaldandone i legami. Sono questi gli ingredienti all’insegna del nazional-patriottismo che Belgrado e la Republika Srpska (Rs), l’entità politica dei serbi di Bosnia, hanno immesso in grandi quantità negli ultimi giorni nel complesso calderone della politica balcanica. Causando timori e sospetti anche fra i vicini.

A far alzare qualche sopracciglio è stata la legge fotocopia cui i Parlamenti di Serbia e Republika Srpska hanno dato luce verde in sincrono in questi giorni, con l’obiettivo di promuovere lo storico alfabeto cirillico. Cirillico che diventa «obbligatorio», si legge nel testo della legge, nel lavoro e nelle comunicazioni pubbliche degli organi e delle aziende statali, ma anche nella Tv di Stato. Severe le multe per chi sgarra: fino a 500mila dinari, oltre quattromila euro. Neppure il privato sfugge alle nuove norme nazionali che peraltro “copiano” quelle già adottate anni fa a Belgrado, dove non a caso fa da tempo bella mostra di sé l’insegna di Starbucks in cirillico. Le imprese che decideranno di optare per il cirillico abbandonando l’attualmente molto più diffuso alfabeto latino dovrebbero in futuro poter contare su «benefit fiscali e amministrativi», suggerisce l’articolo 5 della legge serba. «Il primo obiettivo della legge è regolare lo status del cirillico nella vita pubblica», parte fondamentale «dell’identità» nazionale, ha sottolineato la ministra serba della Cultura, Maja Gojković.

Ma ci sono anche altre voci. Sui social non pochi hanno espresso dubbi in merito all’utilità delle disposizioni. Esplicito l’autorevole Comitato Helsinki per i diritti umani, che ha dato voce ai critici sostenendo che il cirillico, in via di trasformazione in «fattore di mobilitazione nazionalistica», non deve essere uno «strumento di coercizione e intimidazione», ha sottolineato il Comitato, suggerendo che le minoranze che vivono in Serbia, dai croati ai magiari, difficilmente apprezzeranno i tentativi di «cacciare dalla vita pubblica l’alfabeto latino». «Le lingue ufficiali» in Bosnia «sono cirillico e latino», ma nell’entità serbo-bosniaca per vie legali si vorrebbe, anche attraverso i favoritismi al cirillico, «fare violenza istituzionale contro chi non si sente serbo ortodosso», ha attaccato anche il vicepresidente della Rs, il bosgnacco Ramiz Salkić; mentre media, analisti e politici a Sarajevo hanno suggerito che le misure sarebbero incostituzionali.

A far discutere – e con maggior veemenza - è stata poi la “Giornata dell’unità serba, della libertà e della bandiera nazionale”, nuova festività proclamata per il 15 settembre, a ricordare una vittoria-chiave serbo-francese nella Grande Guerra sul fronte di Salonicco. Giornata che è stata caratterizzata da un tripudio di tricolori serbi, marce militari e inni, spari a salve dalla fortezza di Belgrado. E da inviti a esporre la bandiera serba ovunque, «con orgoglio, in tutto il mondo», ha detto il presidente serbo Aleksandar Vučić, una richiesta poi soddisfatta da tanti serbi soprattutto in Bosnia e Montenegro.

Vučić ha assicurato che la festa è solo celebrazione «della nostra lingua, cultura, tradizione, fede». Ma altre dichiarazioni smentiscono il rassicurante messaggio. Sono quelle, recenti, del ministro dell’Interno serbo Aleksandar Vulin, che ha evocato la necessità di creare «un mondo serbo» unito. Seguite da quelle del membro serbo della presidenza bosniaca, Milorad Dodik, fra gli ospiti d’onore delle celebrazioni a Belgrado, a cui hanno partecipato decine di migliaia di persone: «Il nostro Paese non è la Bosnia-Erzegovina, ma la Serbia», ha affermato Dodik davanti alla folla, suscitando entusiasmo.

Comprensibili i timori emersi nel resto della regione, dove la memoria delle guerre degli Anni Novanta è ancora viva. E dove esibire bandiere ed esaltare troppo le patrie è sempre rischioso.

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