Dal Parco di San Giovanni al Parco di San Giovanni: la parola terapeutica si incide sui muri e sulla pelle

La scoperta dell’ex Opp, la cittadinanza, la fondazione del collettivo poetico ZufZone: una storia di inclusione

TRIESTE 15 gennaio 2015. Vivo da pochi giorni a Trieste e sono qui al Parco di San Giovanni vicino al cavallo Marco, è un cavallo blu testimone di una rivoluzione culturale. Dalla marginalità di Trieste esplode la necessità di sfidare la carta, barrare con una penna il passato e riscrivere il presente. Quando il donchisciottesco Marco Cavallo entrò per la prima volta nel parco per rompere il confine che fino ad allora stabiliva ciò che era normale e sano da ciò che non lo era più, i problemi e le aspirazioni di dentro si sono riconosciute con i problemi e le aspirazioni di fuori, entrare fuori e uscire dentro. Aprire le porte dell’ospedale psichiatrico significava rompere uno stigma, andare oltre l’idea che la salute mentale potesse essere curata con l’isolamento, la reclusione, la quarantena. La verità è rivoluzionaria e La libertà è terapeutica vedo scritto nelle facciate di quegli stessi spazi che ne testimoniano l’oppressione.

La carta non poteva reggere il peso di queste parole quanto quei muri che ne custodivano il peso e il dolore. Trieste si riappropria di uno spazio che da margine diventa centro di utopia e laboratorio di sperimentazione culturale: Festival 404 del gruppo 78, Epidemya t-shirt project 93, Reliquie project, Accademia della Follia, Ornette Coleman, Ugo Guarino e il Reseau del 77, Radio Fragola, Lunatico Festival...Finisco di prendere il caffè al Posto delle Fragole, saluto Roby e torno a casa. Ancora non sapevo che proprio lì avrei dato vita a un collettivo di poesia. 18 settembre 2016. Suona il postino, è una raccomandata, la lettera di accettazione per la cittadinanza, devo andare in Comune per il giuramento. Le gambe tremano, sono sola, mi dirigo verso quella sala, entro da marocchina,”Giuro fedeltà alla Repubblica italiana ed alla Costituzione” dico ad alta voce difronte al sindaco. Passa mezz’ora, passano esattamente trenta minuti, circa 1800 secondi, è una clessidra per la transizione definitiva, la metamorfosi, per mettere un punto, per chiudere un capitolo.

Nella mente ripercorro tutta una vita, per una carta sono stata fermata, perquisita e arrestata al confine, per mezza carta sono stata vista come estranea, maledetta carta, sapete quanto può far male soffrire di carta e sentirsi al margine. Esco: sono italiana, o così mi dicono. Ho nuovi pezzi di carta marchiati di inchiostro nero molto simili a quelli di prima ma di tutt’altro valore, quale valore? Mi dicono chi sono e chi non sono più, pezzi di carta, siamo più carta che carne, siamo più carte che spirito. Ma sono sempre io. Il poeta trevigiano Alberto Dubito scriveva “Sai devo scrivere il mio tempo prima che lui scriva me | Come dare forma al mio secolo prima di adagiarmi inconsciamente sulla sua | Devo scriverlo perché quello che non scrivo mi limita fino a quando non diventa limite di carta”. Scrivere diventa una necessità vitale e condividerlo ibridando la parola scritta con il corpo, la musica, l'arte visiva, è una scelta di potenziamento. La sfida a vari livelli si gioca anche sulla carta per poi farla uscire ed esplodere, serve fare cultura intesa come capacità di connettere, serve fare cultura per lottare contro quella carta che opprime e liberare la parola, la parola che è rivoluzionaria quando si segna nei muri e si imprime nella nostra pelle. Per questo motivo si potrebbe parlare anche di sforzo politico, ma ben distante dal partitismo.

Politico vuol dire "della città", vuol dire partecipazione, collettività. 16 giugno 2019. È la prima data del collettivo che avrebbe preso il nome ZufZone, siamo giovani ragazze e ragazzi che si sono conosciuti seguendo le scie che la poesia ha tracciato. La poesia come Parola radicale, terapeutica, rivoluzionaria. Abbiamo scelto proprio il Parco di San Giovanni come inizio del nostro percorso collettivo, un luogo emblematico che esce dalle logiche del consumo, che non si trova lì per caso, che richiede lo sforzo di partecipazione. Abbiamo riunito senza criterio tragitti altrimenti soli, come tracciando linee tra storie o creando un atlante di gesti insignificanti. Non volevamo risparmiarci il viaggio, la visuale delle cose, ma non riuscivamo a trovare un ordine che potesse congiungerci. Allontandandoci, l'intreccio di corpi sonori è diventato per noi un'intuizione, la ricetta più semplice una meta: zuf. N si può soltanto perdere al suo interno. Smarrendo le coordinate si entra nella trasformazione. Possiamo scrivere che se "semo un zuf" è solo perché è lì che abbiamo trovato della poesia. È a partire da qui che vi invitiamo a lasciarvi andare alla ricerca: contaminandoci nella Zuf Zone.— © RIPRODUZIONE RISERVATA

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