Dalla stazione di servizio al prestanome per il conto, una girandola di soldi

TRIESTE. In mezzo ai finti beauty center di Trieste e Gorizia, alle fantasiose ristrutturazioni immobiliari sparse qua e là e alle start up immaginarie, compare pure una ditta triestina di carburante, quella che gestisce l’impianto di viale Campi Elisi 95: la Gasfin snc. Una ditta che ha chiesto e ottenuto fondi pubblici.
Il socio amministratore della Gasfin è Roberto Di Ilio. Un cognome, questo, che ritorna più volte nell’inchiesta della Procura di Trieste sul business dei contributi. Roberto Di Ilio in effetti è il fratello dell’ex vicepresidente di Confcommercio Mauro Di Ilio, pure lui socio del distributore di carburante di Campi Elisi, arrestato assieme ad altri due complici finiti nell’indagine.
Ciò che accade attorno al finanziamento è piuttosto emblematico. E spiega molto sul giro di denaro messo in piedi dagli indagati, tra finanziamenti erogati da enti pubblici, imprese estere fittizie, fatture farlocche e conti corrente intestati a prestanome.
Il 30 marzo del 2017 la Gasfin snc aveva chiesto e ottenuto 37 mila e 500 euro per una serie di lavori di «ammodernamento, ampliamento, ristrutturazione e straordinaria manutenzione» dell’impianto di Campi Elisi, dove avrebbe dovuto essere installato un «sistema innovativo di videosorveglianza e sicurezza». Il denaro ricevuto per i lavori derivava da quel clamoroso giro di fondi garantito dalla Catt-Fvg srl, l’impresa di cui la Regione si serve per erogare contributi alle Pmi. Dove i controlli si fanno solo sulla carta. Da ex vicepresidente della Confcommercio Trieste (l’associazione di categoria è uno degli enti fondatori della srl regionale), Mauro Di Ilio godeva certamente di una posizione privilegiata nell’intercettare le gare indette dai bandi del Catt. L’imprenditore si era fatto avanti anche per altre domande: frodi, secondo la Procura.
Stando a quanto appurato dagli inquirenti anche per i lavori della videosorveglianza da installare nella stazione di sevizio di Campi Elisi sarebbe stata presentata documentazione fittizia: fatture emesse dalla Atisan, la società bulgara creata ad hoc – secondo gli inquirenti – per le truffe. Nel pc di Riccardo Petelin, altro indagato triestino arrestato, è stata peraltro trovata l’intera documentazione della pratica. Dalle indagini emerge inoltre che uno dei conti usati nei vari passaggi di denaro era gestito proprio da Mauro Di Ilio, sebbene intestato a un prestanome. Si tratta di un conto Ing Direct Bank: agli investigatori risultano ottantuno prelievi di contanti pari a un totale di 307 mila euro nel biennio 2017-2018.
«Che il conto corrente non fosse effettivamente gestito da altri se non da Mauro Di Ilio – osserva il gip Giorgio Nicoli nella sua ordinanza cautelare (l’imprenditore è finito ai domiciliari, ndr) che ripercorre i contenuti tecnici dell’inchiesta del pm Lucia Baldovin – risalta ictu oculi già scorrendo rapidamente le operazioni che vi compaiono nell’estratto conto, tutte quelle identificabili essendo riferibili a causali, affari e soggetti collegati alla stesso Di Ilio, non certo al formale titolare». Quest’ultimo – il formale titolare – è stato interrogato dagli inquirenti l’11 dicembre 2018: ha confermato che il conto corrente era in realtà gestito da Mauro Di Ilio. Oltre 300 mila euro. Da dove provenivano quei soldi?
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