Dalle feste vip al “toc” intimo nel buio pesto Così le luci di Trieste diventano stelle lontane

IL REPORTAGE
Camperisti che si sfidano a briscola sorseggiando un “calicetto”, pescatori che guadagnano gli scogli con la lenza tra le dita, piatti di pesce che si consumano tra i tavoli dei locali vista mare, atmosfere veneziane, silenzi “mistici” a due passi dall’ex confine di Lazzaretto. Il poliedrico palcoscenico muggesano conclude il viaggio del Piccolo nelle serate estive da una costa all'altra del golfo triestino, con le sue numerose e variegate anime. A Muggia siamo agli “antipodi” territoriali delle bianche spiagge e delle feste di Sistiana, dei falò sotto la luna di Canovella, della quiete e dei segreti di Grignano, del jogging e degli apertivi ai chioschi di Miramare e Barcola. La movida e la musica lungo le Rive del centro di Trieste ne sono invece una sorta di “anticipazione”. Approdando nella “contea de Muja”, poco dopo la foce del Rio Ospo e il relativo parco, che chiude prima del tramonto, si trova il molo Balota, dove sorge lo storico insediamento di camper “fai-da-te” che, in base alle ultime disposizioni dell’Autorità portuale, ha le ore contate e dovrà essere sgomberato. Qui, sotto il ponte, oltre ai residenti stabili , l’estate si riempie di turisti stranieri. Con l’approssimarsi del tramonto i camperisti approfittano per giocare un’ultima partita a carte, per riposarsi sulle sdraio o per bere un bicchiere al vicino chiosco, gestito da Erica Norbedo e Luigi Mantese, che si dicono preoccupati a loro volta dall’annunciato sgombero dell’area, che «potrebbe portare a uno svuotamento delle serate sulla spiaggia». Fortunatamente, il luogo non è popolato solo dai proprietari dei camper, ma anche da muggesani e triestini. «Oltre che da Muggia vengono anche da Altura e Borgo per un aperitivo sul mare o per le serate musicali», raccontano Ciano e Paolo mentre sorseggiano una birra al bancone.
Spostandosi nelle atmosfere veneziane, per architetture e costumi locali, del centro di Muggia, che si sviluppa attorno al porticciolo del Mandracchio con le sue barche, si può decidere di passeggiare con in mano un cono delle gelaterie “Jimmy” e “Meravigliosa” o di fermarsi a gustare un piatto a base di pesce su una delle terrazze dei ristoranti affacciati sul mare. Un inaspettato movimento anche nelle giornate infrasettimanali caratterizza poi il lungomare Venezia, che comincia dal centro del paese e prosegue fino a San Rocco. «L’altra Barcola», simile al litorale triestino per le sue spiagge di cemento e l’accesso diretto al mare, come la definisce Dino Degrassi, che la percorre quasi ogni giorno e avverte scherzosamente che dopo le 17.30 diviene «pericoloso entrare in acqua», quando cioè «i pescatori conquistano gli scogli e si rischia di beccarsi una lenza in bocca».
Al principio del lungomare si trova un altro storico chiosco al centro delle serate muggesane, il “Kiwi kiosk” di Maurizio Pizzulin, il primo di tutta la costa ad aver deciso di prolungare l’orario di attività anche durante la notte, per poi essere seguito a ruota dagli altri. Ancora oggi rimane aperto fino alle 3 per accogliere i clienti fissi, soprattutto i giovani del posto, e negli ultimi anni anche il ritorno dei turisti.
Proseguendo fino in fondo al lungomare Venezia ci si trova a Porto San Rocco. Un piccolo mondo a sé, dove il dialetto muggesano lascia spazio alla lingua inglese e trionfano le polo, per gli uomini, e gli abiti lunghi, per le donne. Sono le “divise” degli stranieri che qui possiedono case o barche e partecipano alle feste “vip” eppure informali. Le luci bianche e rosse del molo si contrappongono a quelle gialle e tremolanti di Trieste che, sull’altro versante del golfo, appaiono quasi come un miraggio, come stelle lontanissime. In effetti, molti dei triestini che frequentano l’esclusivo porto lo fanno proprio per «uscire dalla città e dal suo stress, provando un senso di vacanza solo alla sensazione di essere lontani. In realtà, poi, basta una decina di minuti per tornarci», spiega Massimo Dagostini, gestore del locale “Sunrise”, i cui mohito, sostiene, «sono conosciuti anche dall’altra parte del golfo e attirano imbarcazioni fin da Sistiana». Superato San Rocco, comincia la zona più silenziosa e solitaria di tutta la costa triestina, l’ultimo lembo d’Italia, dove si prova la sensazione di essere sospesi in un non-luogo, una terra di mezzo. L’ultimo avamposto rischiarato dall’illuminazione pubblica coincide col chiosco “Baraonda 2.0”, dove si viene a bere un amaro magari dopo aver cenato “da Gildo”.
Sugli scogli del parcheggio lì difronte, approfittando della calma del luogo, si trovano sempre gli stessi quattro, cinque pescatori. «Si viene soprattutto per stare al fresco e passare del tempo, ma di solito si pesca poco e non se ne ricava la cena», afferma Michele, uno degli habituè. Alle luci verdi fosforescenti delle lenze che danzano nell’aria, sulle spiagge scure più avanti si intravedono ogni tanto lampeggiare gli schermi bianchi dei cellulari dei giovani che approfittano dell’oscurità per un intimo bagno notturno, per poi sedersi in cerchio con birre e chitarra, a cantare per tutta la notte. —
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