Dall’inferno di El Alamein a Mossa i parà premiano il loro “Leone”

IL personaggio
Mossa
Nei suoi occhi vivacissimi si leggono ricordi, tantissimi, dolorosi ma anche belli, e un grande orgoglio. Quello di chi sa di aver fatto il suo dovere fino in fondo e oggi vede riconosciute le sue gesta. Lui è il maresciallo capo (e cavaliere) Giuseppe Campanaro, nato a Gerace, in provincia di Reggio Calabria, ma ormai isontino, e per la precisione mossese, d’adozione. Soprattutto, uno degli ultimi “Leoni di El Alamein”, uno dei tre reduci italiani della terribile battaglia del 23 ottobre 1942 ancora in vita.
Campanaro, che è vicino ai 95 anni ma che ha uno spirito e una forza da far invidia ad un ragazzino, nei giorni scorsi ha ricevuto il Brevetto d’oro e l’Aquila d’oro con la quale l’Associazione carabinieri paracadutisti “Esse quam videri” del presidente Nunzio Rotunno l’ha voluto premiare proprio nella sua Mossa. Dove è intervenuto, tra gli altri, anche il comandante provinciale dei carabinieri di Gorizia Alessandro Carboni, a testimonianza di quanto l’Arma continui ad avere a cuore i suoi eroi. «Si resta carabinieri per tutta la vita – dice il maresciallo capo Campanaro -, e per me il 13° Carabinieri rappresenta la famiglia. Sono rimasto vedovo da una decina d’anni, e ogni giorno trovo in caserma amici e compagnia. Il riconoscimento ricevuto mi ha reso estremamente felice, l’ho accolto con il cuore: è stato un modo, se vogliamo, per omaggiare i tanti che come me hanno passato quei momenti terribili in Nordafrica».
È un presente sereno e di meritato riposo, quello di Campanaro, che però ha alle spalle una vita tanto avventurosa quanto dolorosa. Veterano del 1° Battaglione dei Reali carabinieri paracadutisti comandato dal maggiore Edoardo Alessi, medaglia d’argento al valor militare, ha vissuto la tragedia della guerra, e soprattutto l’inferno di El Alamein. «Non potrò mai dimenticare ciò che ho visto e passato – ricorda il maresciallo Campanaro -. Le vite spezzate, i feriti, i due anni nel campo di concentramento francese in Tunisia. Sono stato anche fortunato a sopravvivere, e a poter raccontare oggi tutte queste cose». Con orgoglio e una testimonianza importante da lasciare alle nuove generazioni. —
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