Delitto Prasel, 6 anni dopo la polizia è vicina al killer

Era il pomeriggio del 27 gennaio del 2006 quando qualcuno con un coltello dalla lama lunga 20 centimetri colpì a morte Alma Prasel, una non vedente di 64 anni. L’assassino, dopo sei anni, non ha ancora un nome. Ma ora la Questura riapre il caso. «Le meticolose indagini svolte allora - spiega Mario Bo, capo della squadra mobile - i dati repertati e le nuove tecnologie a nostra disposizione potrebbero portare a una svolta definitiva nel caso».
Chi ha commesso quel delitto potrebbe presto avere un nome: «Come è stato fatto per il caso Brosolo recentemente risolto ora riprenderemo in mano il caso Prasel», spiega Bo riferendosi appunto all’omicidio di Albina Brosolo Perez, l’anziana uccisa nella sua abitazione nel novembre del 2000, i cui assassini sono stati smascherati e arrestati la scorsa settimana grazie a impronte digitali che 12 anni dalla loro rilevazione, grazie alle nuove tecniche, hanno fornito indicazioni precise sui killer.
Qualcosa di analogo dunque potrebbe succedere per il caso di Alma Prasel. A sei anni dal delitto, d’intesa con l’autorità giudiziaria, la polizia disporrà un nuovo sopralluogo. I nuovi mezzi in adozione alla scientifica potrebbero portare a individuare magari un vecchio schizzo di sangue su una parete, o a altri segni significativi. In via Pecenco 4, casa delle vittima e teatro dell’omicidio, erano state rilevate infatti all’epoca delle impronte parziali. Non era stato possibile individuare almeno 16 punti di coincidenza. In un confronto le impronte digitali infatti danno piena garanzia di attendibilità senza bisogno di elementi sussidiari di certezza quando si riscontri l’esistenza di almeno 16 punti caratteristici uguali per forma e posizione, anche se le impronte appartengono solo alla porzione di un dito.
All’epoca, a meno di una settimana dal ritrovamento del cadavere, la Mobile aveva già diffuso l’identikit di una donna che poteva essere l’autrice dell’omicidio. Erano stati i vicini di casa, ma anche una addetta alla lettura dei contatori dell’energia, a tracciare il volto e a dare indicazioni precise sulle caratteristiche fisiche di una donna che il giorno dell’omicidio si trovava in casa con Alma Prasel. Le indagini e i sospetti si erano concentrati proprio su quella persona. Ma un alibi di ferro portò allora all’archiviazione della sua posizione. La donna al centro dei sospetti era stata in grado di dimostrare che nelle ore del delitto si trovava ad un convegno.
Quella persona, oggi ultrasessantenne, vive ancora a Trieste. Nel giorno in cui la Prasel fu uccisa, nelle ore precedenti alle urla avvertite dai vicini di casa, un’addetta di Acegas, facendosi aprire la porta di casa, aveva visto quella stessa donna a fianco della Presel. Le indagini ne avevano scandagliato anche i rapporti di amicizia, valutato le abitudini, i conti bancari, le telefonate. Non era emerso nulla di strano.
L’unica certezza per la Questura e per Federico Frezza, il pm che seguì le indagini, era che chi aveva ucciso la donna non era uno sconosciuto, un rapinatore. Chi aveva commesso il delitto frequentava l’appartamento di via Pecenco, conosceva quella casa, sapeva dove erano sistemati i coltelli nel cassetto della cucina. E prima di colpire la vittima per 10 volte aveva indossato i guanti.
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