Diagnosi e terapie fai da te: madre e figlio a processo

TRIESTE Si professavano «naturopati» in grado di guarire disturbi fisici e alimentari. E per rendersi più credibili somministravano anche medicinali “fai da te”, per non parlare delle visite domiciliari con tanto di attrezzatura ad hoc: un aggeggio con pulsanti e fili capace - così dicevano - di rilevare «il flusso energetico».
Agivano così i sedicenti guaritori della porta accanto in cui sono incappati vari pazienti e che ora dovranno difendersi in Tribunale dall’accusa di essere degli impostori. I due presunti esperti sono mamma e figlio: la settantaquattrenne Anna Maria Gregolin, nata a Trieste ma residente a Gorizia, e il quarantacinquenne Leone Ferri, nato a Gorizia e residente a Trieste. La vicenda è finita in Tribunale in questi giorni davanti al giudice Laura Barresi. L’indagine è del pm Massimo De Bortoli.
A portarli in aula un quarantatreenne triestino che, convinto di essere stato vittima di un raggiro, ha fatto denuncia alla Guardia di finanza. Mamma e figlio devono rispondere del reato di concorso in esercizio abusivo della professione medica, ma anche quella di biologo visto che sostenevano di sottoporre ad esami di laboratorio i campioni di saliva dei malcapitati.
Tutto comincia nel febbraio del 2015, quando il 43enne triestino confida a Ferri - i due si conoscono - di avere problemi di salute legati al sistema nervoso, che si manifestavano con stati d’ansia e tremore a una mano. Ferri non perde tempo e invita l’amico a casa sua, a Trieste, per sottoporlo a un test con la sua speciale apparecchiatura. È il macchinario che usa per visitare i pazienti. Il sedicente esperto avvicina l’aggeggio al corpo del paziente. E poi sentenzia risoluto: «Eh, qui c’è la presenza di batteri nocivi... hai un’occlusione dei centri energetici, quelli che regolano il flusso del sistema energetico... i chakra!». Il quarantatreenne triestino, meravigliato di aver subito trovato la ragione dei suoi acciacchi, ci crede. Ma Ferri fa di più: invita il paziente a incontrare la madre, assicurandogli che lei sarebbe stata in grado di individuare la corretta terapia. Nel frattempo il naturopata prescrive (e consegna) al malcapitato alcune gocce a base di chiodi di garofano e noce. Non solo. Per completare la “diagnosi”, Ferri domanda al paziente anche un campione di saliva per scoprire da quanto tempo fosse «infetto dai batteri nocivi». Risultato: quei batteri – afferma il guaritore – erano presenti nell’organismo «da sette anni e mezzo». La visita si ripete tre settimane dopo con il solito macchinario; stavolta c’è anche la madre di Ferri, la settantaquattrenne Anna Maria Gregolin, pure lei presentata come una naturopata. Mamma e figlio sono convinti che nel paziente persiste «la chiusura dei charka», ma che le gocce prescritte da Ferri stavano facendo già effetto. È la settantaquattrenne Gregolin a presentare alla vittima la soluzione definitiva ai suoi mali: una terapia per i centri energetici a fronte di un corrispettivo di 150 euro, con annesse gocce e ulteriori cure. Il quarantatreenne triestino però annusa l’imbroglio. «Mi prendevano in giro», si legge negli atti processuali.
Stando alle indagini, Ferri e Gregolin avrebbero utilizzato lo stesso sistema con una donna affetta da intolleranze alimentari. Anche in questo caso i due presunti guaritori hanno impiegato il macchinari; non è mancato il responso: due fogli con l’indicazione dei cibi da evitare. Tutto ciò a fronte di un pagamento di 70 euro. L’imbroglio sarebbe stato ripetuto con un’altra vittima ancora.
Durante l’udienza in Tribunale il legale che difende i due imputati, l’avvocato Roberto Mazza del Foro di Gorizia, ha depositato il documento informativo che Ferri e Gregolin avrebbero sottoposto al paziente prima di iniziare i trattamenti. Un documento in cui veniva precisato, in buona sostanza, che i due naturopati non emettevano prescrizioni né ricette mediche. Il foglio sembrava riportare in calce la firma del paziente. Ma il quarantatreenne triestino ha negato: «Quella non è la mia firma... e io quel documento non l’ho mai visto». Un imbroglio? Il giudice Barresi ha voluto verificare personalmente, invitando la vittima a scrivere su un foglio la propria firma, in modo da poter usare la prova per un eventuale perizia grafica. Un altro elemento che potrebbe incastrare i due “guaritori”. —
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