Dismissione Italcementi: 70 operai su 79 in Cigs

Un’azienda decapitata, questa è la Italcementi di via Caboto dopo il piano di ristrutturazione annunciato dal gruppo con 665 casse integrazioni decise per tutti i 14 stabilimenti italiani e il declassamento dell’azienda triestina destinata a conservare solo attività di speditura, e non più di produzione. Una vicenda purtroppo molto simile a quella di Sertubi, che dal produrre è passata al commercializzare tubi prodotti in India dalla multinazionale Jindal, con l’espulsione della maggioranza dei dipendenti. In questo caso è il gruppo Pesenti a passare su Trieste. Su 79 operai la cassa integrazione straordinaria a partire dal 1.o febbraio e per due anni verrà chiesta per 70, cioé quasi tutti. I 9 lavoratori superstiti si occuperanno appunto solo di spedire cemento altrove. L’annuncio è stato dato l’altro giorno a Roma, dove sono state convocate le Rsu aziendali, quelle più colpite dal piano di riordino. Assieme a Trieste ci sono Monselice (dove su 100 operai andranno in Cigs in 70) e Broni in provincia di Pavia che praticamente scompare: 47 Cigs su 47 dipendenti.
«È stata una notizia terribile, speravamo meglio - dice Marco Savi, Rsu della Filca-Cisl -, in più è quasi sicuro che alla fine della Cigs, e cioé a partire dal 2015, ci resterà solo l’attività parziale di macinazione, e questo significa che metà dell’organico è destinato alla mobilità e quindi a perdere il posto». Tutti i 79 occupati sono fra i 40 e i 50 anni, con una possibilità di pensione lontanissima, specie con le nuove leggi. Oggi in azienda si terrà un’assemblea.
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La riunione romana non è stata priva di discussioni tra i sindacati e i delegati alle relazioni industriali di Italcementi. Le Rsu hanno chiesto “cassa” a rotazione, «ma ci è stato risposto - dice Savi - che non si può fare per via delle diverse professionalità». Hanno chiesto un’integrazione al mensile della Cigs, assicurata per iscritto in un documento, «perché ci sono famiglie in difficoltà», e anche qui il discorso è rimasto in sospeso. Tanto che le parti si ritroveranno a Roma il 27. Data in cui però scadrà anche l’ultima ora per fare l’accordo, «entro l’anno bisogna firmare anche al ministero, altrimenti la cassa integrazione non si può ottenere».
E così ecco altri 70 a spasso, e un altro pezzo di residua industria triestina che svanisce.
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