«Diverse le modalità di apprendimento»
Albert Einstein era dislessico, così come Steve Jobs, Agatha Christie, Walt Disney e John Lennon. Ma la dislessia non ha impedito loro di realizzare i propri sogni e diventare persone di successo nei rispettivi ambiti.
«Eppure – dice Anna Bonuomo, presidente dell’Aid, e mamma di due ragazze che nonostante la dislessia proseguono con successo i loro studi – sulla dislessia ci sono ancora tantissimi pregiudizi». «Quando ho iscritto mia figlia al liceo – racconta Elisabetta Pietrobelli, membro di Aid e Stelle sulla Terra – in tanti, insegnanti inclusi, mi hanno chiesto perché, nonostante fosse dislessica, avessimo scelto di farle frequentare quel genere di scuola, che presuppone poi che si proseguano gli studi anche all’Università. Questo nonostante ci siano fisici e ingegneri dislessici e la storia abbia dimostrato come questi individui abbiano soltanto una diversa modalità di apprendimento, ma possano tranquillamente diventare dei veri talenti nel campo in cui decidono di applicarsi».
Certo a fare la differenza sono gli strumenti che si mettono a disposizione degli studenti dislessici. E un adeguato supporto a insegnanti e genitori non guasta. «Da un lato ci sono le famiglie, che spesso davanti a una diagnosi di dislessia si trovano spiazzate: è difficile comprendere le difficoltà di un dislessico, ma l’obiettivo finale dev’essere dotarli degli strumenti adeguati per renderli autonomi. Il doposcuola serve proprio a questo», racconta la psicologa Ilaria Vaccher: «Dall’altra parte ci sono gli insegnanti, che soprattutto nelle scuole superiori non sono adeguatamente formati per far fronte a questo problema. Spesso nelle scuole mancano le attrezzature, perché per uno studente dislessico l’ideale è avere a propria disposizione un computer con i software compensativi adeguati, che però non costano poco. L’abbiamo sperimentato sui nostri figli: anche l’interazione con la scuola è meglio lasciarla a persone formate in quest’ambito. I genitori vengono sempre visti come quelli che vogliono proteggere i ragazzi, invece se a interagire con gli insegnanti sono operatori preparati, come facciamo con quelli del nostro doposcuola, il messaggio viene recepito in maniera diversa».
Per i dislessici serve un piano didattico personalizzato, spiega Vaccher: «Il grosso rischio è quello dell’abbandono scolastico. Se gli argomenti vengono presentati come agli altri studenti il ragazzo dislessico non ce la fa, inizia a vivere la scuola con angoscia e perde motivazione e autostima».
Per aiutare gli studenti dislessici, le loro famiglie e insegnanti l’associazione Stelle sulla Terra e l’Aid di Trieste organizzano anche campus per i ragazzi, Formacampus per gli operatori, incontri formativi e divulgativi in collaborazione con il Burlo, l’Università di Trieste e l’Ufficio scolastico regionale, sportelli rivolti a genitori, ragazzi, insegnanti e tecnici. Tra le ultime iniziative anche un vademecum per gli insegnanti delle scuole superiori, che sarà stampato e distribuito grazie al Comune e alla Provincia. (g.b.)
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