Docenti senior da pensionare, primi sei ricorsi

Panjek: capisco il rettore, ma tuteliamo i nostri interessi. Manzoni: questione di principio
di Arianna Boria
Giorgio Manzoni, che insegna Topografia e cartografia al Dipartimento di Ingegneria civile, butta là una provocazione: «Rimarrei in cattedra anche per un euro al mese. È una questione di principio. Non ritengo esaurita la mia funzione, né dal punto di vista della ricerca né da quello della didattica». Al contrario, secondo il piano di snellimento dei docenti «senior» stabilito dall’Università, il professor Manzoni, che a luglio festeggerà settant’anni, non entrerà più in aula dal prossimo 1° novembre.


A meno che non sia il Tar a reintegrare in servizio lui e altri sei colleghi, che si sono rivolti alla giustizia amministrativa per scongiurare quello che burocraticamente viene definito «collocamento a riposo», ma che per i diretti interessati è un amaro e indigeribile benservito.


Porta la data dal 1° aprile il ricorso firmato da Manzoni insieme ai colleghi Giuseppe Cuscito, ordinario di Archeologia cristiana e medievale alla facoltà di Scienze della formazione, Rinaldo Nicolich e Fabio Santorini, titolari, rispettivamente, delle cattedre di Geofisica applicata e di Trasporti a Ingegneria, e Giovanni Panjek, professore di Storia economica e preside della Facoltà di Economia, tutti assistiti dall’avvocato Renato Fusco. Un altro ricorso è firmato da Pio Nodari, docente di Geografia economico-politica alla facoltà di Economia, che fa causa all’Università con gli avvocati Michele Miscione e Paola Nodari.


Sono, per ora, i primi sei della cosiddetta pattuglia degli «over», professori di lungo corso che l’ateneo ha deciso di sacrificare per far quadrare i conti, 21 nel 2009 e 24 nel 2010. Insegnanti che per effetto del piano varato dall’ateneo non possono più rimanere in servizio altri due anni, come la vecchia legge consentiva loro. L’operazione permetterà un risparmio di 3 milioni 691 mila euro quest’anno, portando al 91% lo sforamento, e di 4 milioni 640 mila euro nel 2010, quando il rapporto tra spese di personale e fondo statale ordinario scenderà all’86%, ricollocando Trieste nella rosa degli atenei «parsimoniosi». «La procedura ci pare quantomeno frettolosa, strana, non corrispondente alle disposizioni del ministro», commenta laconicamente il professor Nicolich, settantenne da questo aprile e in cattedra dal 1980.


Niente di personale, ma una doverosa «resistenza» sul piano giuridico. Ci tiene a precisarlo il preside Panjek, anche lui settantenne nel 2009 e teoricamente pensionato dal prossimo 31 ottobre, che si affretta ad aggiungere: «Capisco la situazione del rettore. Anzi, gli ho detto che al suo posto avrei fatto lo stesso. Però anche noi dobbiamo guardare i nostri interessi».


Tre anni fa, racconta il professor Panjek, la legge consentiva un’alternativa: la condizione di ”fuori ruolo”, ovvero l’esonero dalla didattica e la permanenza in servizio per la sola attività di ricerca, o la prosecuzione dell’insegnamento per accedere automaticamente al bonus di due anni, proprio quello che le Università in «rosso» possono ora scegliere di cassare. «Beh, diciamo che all’epoca ho fatto il sacrificio e quando mi aspettavo di ricevere il premio, mi hanno detto di andarmene. Mi pare antipatico sul piano morale...».


Dispiaciuto, più che indignato, si definisce il professor Cuscito, dall’81 professore associato, ordinario dal ’95 e settantenne il 12 marzo 2010, quindi ipotetico pensionato dal 1° novembre successivo. «In tutto l’ateneo - precisa - sono l’unico a insegnare una materia che, con la mia quiescenza, verrebbe ”tacitata”. I Beni culturali prevedono le tre archeologie: preistorica, classica e cristiana e medievale. Quest’ultima, quindi, dovremmo andare a prendercela a Udine».


Quello che i docenti contestano all’ateneo è di aver adottato solo il criterio anagrafico, tralasciando «competenza» e «necessità» dell’insegnamento, pur previsti dalla legge Gelmini. «Forse - ipotizza Cuscito - non si è voluto fare disparità e quindi si è rinunciato all’”analisi” sui tagli, che è sempre più difficile. Sappiamo che l’atmosfera nazionale non è favorevole, ma è sbagliato pensare che la nostra sia una difesa della ”baronia”. Personalmente, se fossi sicuro che al mio posto assumessero non dico un ordinario, ma almeno un ricercatore, non avrei opposto alcuna resistenza. Purtroppo non c’è certezza che sarà così, anzi.... È questo l’equivoco».
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