Dopo 109 anni e tre generazioni salite in sella il regno delle bici appende i cerchioni al chiodo

il racconto
«Il Big Ben ha detto stop». Flavio Marcon rispolvera una battuta anni ’80 del “Portobello” presentato da Enzo Tortora, per spiegare come a 74 anni, classe 1944, abbia pensato di appendere le scarpe al chiodo. Anzi, vista la professione dinastica, i cerchioni al muro. Chiude la storica attività di vendita bici «per decisione familiare», perché si sente stanco, perché da dieci anni lavora senza dipendenti, perché riesce a fare sì e no una settimana di ferie all’anno.
Senza contare il contesto generale dominato da una concorrenza senza quartiere dove, dai supermarket a internet, la bicicletta non è più articolo da boutique. E poi bisogna aggiornarsi: freni, cambi, quelle pedalate più o meno assistite che a Fulvio Marcon non piacciono, perché troppo spesso nascondono pseudo-ciclisti pigri, più assistiti che pedalatori. Tuttavia Marcon spera che qualcuno legga questo suo “messaggio” e venga così invogliato a rilevare il negozio di piazza dell’Ospitale 6, evitando che una biografia aziendale di 109 anni svanisca e un’altra bottega storica si trasformi in un sushi bar.
I 109 anni non sono un traguardo banale, le tappe si sono curiosamente alternate in un raggio di un centinaio di metri. Percorriamole. Era il 1909 quando il nonno Giorgio Marcon, nato 23 anni prima, esordì con il primo negozio in via Massimo d’Azeglio: era un marciatore, ma, dal punto di vista imprenditoriale, optò per le due ruote a trazione umana, allora molto innovative. Due anni più tardi, correva il 1911, traslocò in via della Pietà 3, più o meno dietro l’angolo, dirimpetto al Pronto soccorso del Maggiore. Nel 1959 il terzo e definitivo trasferimento: era stato appena realizzato l’edificio in piazza dell’Ospitale 6 e nonno Giorgio decise di allestire i velocipedi nel locale dove ancora oggi campeggia il brand Marcon.
Proprio in piazza Ospitale si alterna la prima generazione con la seconda: entra in pista Giorgio II, figlio di Giorgio I e padre di Flavio. È nato nel 1915 e ha 45 anni. Cambiano anche le abitudini sociali e il mercato. Lo ricorda Flavio, che allora frequentava l’Oberdan: «Prima la Vespa poi arriva l’auto, la bicicletta si trasforma da mezzo di locomozione a passatempo».
Il velocipede racconta l’evolversi del patrio costume: ci sarà la moda della Graziella, negli anni ’70 l’austerity causata dalla crisi petrolifera post-Yom Kippur segnerà un ritorno alla sobrietà del pedale, il decennio ’80 vede l’exploit della mountain bike, si conferma l’evergreen della bici da corsa. Intanto terza alternanza generazionale: nel 1980 s’insedia Flavio. A Trieste anche la bici attrae la clientela allora jugoslava, che compra il mezzo e si approvvigiona di ricambi. Flavio Marcon rammenta periodi felici in cui si vendevano 1000 bici all’anno. Intanto tira fuori un ritaglio del “Piccolo” datato 20 luglio 1956 e intitolato “Scompare un po’ alla volta l’ex reginetta della strada”. E gli prende un po’ di malinconia. —
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