Due ore di paura nella villa di Del Sabato

TRIESTE Sono le sette di martedì sera quando la signora Danica, compagna dell’ex presidente della Triestina Giorgio Del Sabato, esce nel giardino della villa di via Redi, dalle parti di via Rossetti, per dare da mangiare ai gatti. «Lo faccio ogni volta a quell’ora, ogni giorno», ricorda la cinquantaseienne. Un particolare di non poco conto, questo, che servirà agli investigatori per ricostruire il possibile modus operandi dei rapinatori. Perché i tre che pochi istanti dopo faranno irruzione in casa probabilmente conoscevano le abitudini della famiglia. Forse qualcuno l’aveva osservata a lungo prima di agire, con sopralluoghi e appostamenti. «Si capiva da come si muovevano che erano professionisti». Danica si china per riempire le ciotole e si volta. È in quell’istante che si trova davanti i tre uomini. Hanno il volto coperto da un passamontagna nero. «Pensavo fosse uno scherzo di Carnevale dei nipoti e mi sono messa a ridere». Non erano i nipoti, non era uno scherzo di Carnevale. Sarà un incubo lungo quasi due ore.
«Mi hanno spinta in cucina senza dire una parola e un altro ha iniziato a legare Giorgio alla poltrona», riferisce ancora la signora. Del Sabato, 75 anni, sta seguendo un telegiornale. È lì e lì per appisolarsi e quasi non si rende conto di quello che sta accadendo. Non una minaccia. Non una parola. I tre comunicano solo a gesti, con fermezza. Immobilizzano entrambi con delle fascette, quelle che usano gli elettricisti. Uno resta a controllarli, mentre gli altri salgono al piano sopra. «Non ho urlato e non ho tentato di divincolarmi perché temevo che avessero armi, che mi picchiassero, che ci facessero del male», dice Del Sabato. Ma non hanno né coltelli, né pistole, né bastoni. «Anzi - riprende la compagna - quando hanno dovuto slegarci le gambe per portarci in camera e rinchiuderci, hanno usato uno dei nostri coltelli da cucina».
I minuti scorrono lenti. Loro due guardati a vista e i rapinatori a rovistare in cassetti e armadi in giro per la casa. Sono piuttosto alti e magri forse giovani, perché si muovono agilmente. Il passamontagna è nero, così come i giubbotti che indossano. Tutti uguali, come una specie di divisa. Vestono jeans. «Erano jeans Armani - precisa la signora - questo l’ho notato e mi ha sorpreso, perché probabilmente erano finti. Dubito che chi ruba nelle case abbia soldi per comprarsi un paio di Armani», rileva ancora la donna. «Per fortuna non ci hanno fatto del male, ma avrebbero potuto fare tutto quello che volevano di noi - osserva - avevo molta paura. E nessuno ci avrebbe sentiti. Non so come faccio a essere ancora viva, come non mi sia venuto un infarto». Tutto continua nel silenzio, rotto dai rumori del piano di sopra. Li sentono parlare, ma con pochissime parole, solo un paio di volte. «Quando ci hanno detto di stare zitti e buoni», ripercorre Danica. «E quando cercavano la cassaforte, che però non possediamo», puntualizza Giorgio. «Non la possediamo proprio perché temiamo queste rapine e allora non teniamo niente in casa», chiarisce la compagna.
«A un certo punto uno di loro ha spostato un tavolo di cristallo in salotto - riprende Giorgio - pensando che la cassaforte fosse sotto a un tappeto. Mentre uno cercava di spostarlo, il complice gli ha detto “che fai”. E lì ho capito che non erano italiani, erano stranieri di questo sono sicuro», riflette Del Sabato. «Forse dell’Est, rumeni, albanesi...non lo so», scuote il capo la signora Danica. «Ma solo nei film vedi queste cose. Per fortuna non ci hanno fatto del male...per fortuna», ripete. Al piano sopra chiudono tende e rollè. Cercano soldi e gioielli. Trafugano tutto quello che trovano: collane, anelli, bracciali, orologi di valore, ma anche roba da bigiotteria. E borse di marca. Riescono a trovare 1.000 euro e poi altri 350 che la signora tiene in un cassetto della camera per fare la spesa. Passa un’ora e mezzo.
Quando finiscono il giro i due banditi tornano giù e slegano le gambe della coppia per portarla in camera. Dove vengono rilegati, ancora più forte. «Di nuovo con le fascette da elettricista - rammenta Del Sabato - ma anche con le cinture, comprese quelle dell’accappatoio». Lui su una poltrona, lei sul letto. I rapinatori se ne vanno chiudendo la porta a chiave. Nel completo silenzio. Ma Danica, con la forza della disperazione, riuscirà lentamente a togliersi tutto. «Mentre legavano lei io ho detto a uno di loro che la mia donna era reduce da un’operazione chirurgica e forse, chissà, l’hanno stretta di meno…», osserva Giorgio.
La donna ci mette almeno venti minuti a liberarsi. Libera pure il marito ma la porta della camera è chiusa a chiave e non possono ancora chiedere aiuto. Allora spalancano la finestra della stanza, urlano. Sarà un vicino, poco dopo, ad allertare la polizia. «Non so quanto ci hanno preso, dobbiamo ancora fare l’inventario», spiega Del Sabato. Il valore complessivo del bottino forse potrebbe aggirarsi attorno ai 20mila euro. Ma sono solo prime ipotesi. «Per fortuna ci è andata bene», dice ancora la signora Danica. «Non so come ho fatto a non morire dalla paura. Non so da dove mi è venuta la forza».
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