Ecco perché si pensa all'omicidio politico

Dopo le pressioni italiane crolla anche la finzione della rapina. Liberati i due sospettati. Si indaga sul ruolo dei servizi segreti
Il sit-in svoltosi ieri al Cairo di fronte all’ambasciata italiana
Il sit-in svoltosi ieri al Cairo di fronte all’ambasciata italiana

UDINE. La “favoletta” dei due criminali comuni che avrebbero ucciso Giulio Regeni è durata poco. L’arco di una notte. Il tempo che il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni facesse trapelare l’irritazione italiana per una verità di comodo e i «forti indizi di colpevolezza» si sono trasformati in semplici «sospetti» con l’immediato rilascio dei due egiziani. Impossibile per le autorità italiane ingoiare la storiella, senza mai dimenticare l’iniziale pantomima sulla morte per incidente stradale, secondo cui lo studente friulano sarebbe finito nelle mani di due balordi.

La versione non teneva, per molti motivi, oltre a essere priva di un movente serio. Quale criminale comune, infatti, si sarebbe accanito sul corpo di Regeni con tale efferatezza? E dove sarebbe stata tenuta la salma per una decina di giorni prima del ritrovamento avvenuto ad almeno 20 chilometri dal quartiere dove abitava e da dove si stava dirigendo alla fermata della metropolitana di Bohooth?

Domande, queste, le cui risposte difficilmente paiono compatibili con la criminalità comune ma che, con il passare dei giorni, indicano in maniera sempre più netta come quello di Regeni possa essere un omicidio a sfondo politico. Lo studente di Fiumicello, in altre parole, sarebbe stato arrestato – o sequestrato – e torturato a morte per estorcergli informazioni. Da chi, e con quali obiettivi, però, resta ancora un mistero. O, quantomeno, a questo punto le ipotesi divergono.

La prima porta a un’uccisione commessa dalla polizia governativa o dal Mukhabarat, i servizi segreti egiziani. Gli indizi, in questo senso, stanno nel lavoro di ricerca svolto da Regeni al Cairo. Studiava, e approfondiva, i temi dello sviluppo economico dell’Egitto dopo la primavera araba e l’evoluzione del movimento sindacale nel Paese. Un primo articolo sul tem era apparso, sotto pseudonimo, sul portale Nena News.

Sul suo profilo Facebook, inoltre seguiva le pagine di gruppi che si battono per la costituzione di sindacati e Hoda Kamel, rappresentante dell’“Egyptian center for economic and social right”, ha raccontato al sit–in davanti all’ambasciata italiana di aver incontrato Giulio diverse volte, per metterlo in contatto con alcuni membri dei sindacati indipendenti: «Venne da noi quattro mesi fa, l’ho incontrato 5 o 6 volte con i rappresentanti sindacali. Per il suo lavoro aveva scelto i negozianti, specialmente i più poveri e gli ambulanti».

È possibile, dunque, che il monitoraggio della polizia lo abbia messo nel mirino dei servizi segreti e che questi, poi, verificati i contatti con ambienti dell’opposizione, abbiamo deciso di metterlo a tacere. Una teoria plausibile che tuttavia non tiene completamente conto delle ripercussioni politiche nei rapporti tra Italia ed Egitto.

Il ritrovamento del corpo senza vita, e per di più con evidenti segni di tortura, di Regeni ha infatti già raffreddato le relazioni tra i due Paesi – come dimostrato dall’interruzione della missione commerciale al Cairo guidata dal ministro Federica Guidi – e rischia di deteriorarli ulteriormente. E l’Italia non è uno Stato come gli altri, per al-Sisi. Il presidente egiziano, infatti, vanta un rapporto personale con il premier Matteo Renzi e a Roma ha trovato il suo principale alleato in Occidente oltre che uno dei più importanti partner commerciali. Se Regeni avesse dato fastidio, dunque, l’Egitto avrebbe semplicemente potuto espellerlo dal Paese, senza accanirsi su di lui sino ad ucciderlo.

L’alternativa, quindi, qual è? O qualcuno ha perso il controllo della situazione o lo studente è finito nelle mani di apparati di sicurezza ostili ad al-Sisi e vicini ai Fratelli Musulmani. Ambienti che potrebbero averne decretato la morte per imbarazzare il presidente, riportare l’attenzione del mondo sulla repressione governativa e incrinare i rapporti italo-egiziani. Un’altra ipotesi, però, che rischia di non essere mai confermata dalle autorità del Cairo, anche se alla fine dovesse corrispondere a verità.

Confessare un “buco” del genere nella struttura di sicurezza si tradurrebbe infatti nell’ammissione di come al-Sisi, l’uomo forte dell’Egitto, non sia nemmeno in grado di controllare i propri apparati di polizia. In parallelo, inoltre, farebbe cadere la cortina fumogena alzata dal presidente negli ultimi anni e che riduce la presenza islamista – sia dei Fratelli Musulmani che dell’Isis – alla zona del Sinai. I fondamentalisti, cioè, sarebbero anche al Cairo con conseguente possibile crollo delle presenze straniere all’ombra delle piramidi dopo la fuga già avvenuta dei turisti dalle località del Mar Rosso.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Argomenti:giulio regeni

Riproduzione riservata © Il Piccolo