Eco-sfida per le trivellazioni in Croazia

La campagna di Greenpeace in Dalmazia: «Solo il 30% della popolazione a favore». Lo stop all’americana Marathon Oil
La protesta di Greenpeace Croatia contro le trivellazioni
La protesta di Greenpeace Croatia contro le trivellazioni

ZAGABRIA. Ci ricorderemo della campagna "Sos per l’Adriatico", come di quella volta in cui degli ambientalisti hanno fermato un progetto petrolifero in Europa? Per il momento, sembra proprio di sì.

Dopo mesi di battaglie, gli ecologisti croati hanno infatti incassato, la scorsa settimana, l’ennesima importante vittoria. Il 29 luglio, due delle cinque compagnie che avrebbero dovuto a breve iniziare a sondare i fondali della Dalmazia, alla ricerca di gas e petrolio, hanno annunciato il loro ritiro.

Ufficialmente, perché una parte delle acque ricevute in concessione sono oggetto di una disputa transfrontaliera tra Croazia e Montenegro e le imprese temono di vivere sulla loro pelle uno scenario simile a quanto sta succedendo nel golfo di Pirano, tra Slovenia e Croazia.

Ma per Greenpeace Croatia e per le altre associazioni del fronte anti-trivelle, l’opposizione al petrolio è ormai talmente diffusa nel Paese, che pochi credono ancora che il progetto del governo andrà a buon fine, aziende comprese. «Dieci mesi fa, il 30% della popolazione si opponeva al progetto - spiega Zoran Tomic, presidente di Greenpeace Croatia. Oggi, è soltanto il 30% a essere a favore, mentre la stragrande maggioranza è contraria, in particolare sulla costa».

A far cambiare idea ai cittadini, secondo Tomic, è stata proprio la martellante campagna di Sos za Jadran (Sos per l’Adriatico), un insieme di azioni messe in atto «in Croazia, in Italia, in Slovenia, in Ungheria, in Slovacchia e persino negli Stati Uniti». «In diverse occasioni abbiamo spedito delle lettere a tutte e cinque le compagnie, presentando i nostri argomenti contro le trivellazioni e chiedendo loro di ritirarsi dal progetto», racconta Tomic.

«Nessun referendum sulle trivellazioni»
Trivellazioni in Adriatico

Mercoledì scorso l’austriaca Omv e l’americana Marathon Oil hanno dunque finito per cedere alle pressioni degli ambientalisti, rinunciando a esplorare nei sette "blocchi" da 1.000-1.600 km2 che l’esecutivo di Zagabria aveva dato loro in concessione.

Qualunque sia la ragione alla base del forfait di queste due compagnie, non si tratta del primo ostacolo a cui il ministro dell’Energia Ivan Vrdoljak deve far fronte. A inizio anno, l’Italia e la Slovenia avevano chiesto al governo croato di prender parte alla procedura di Valutazione Ambientale Strategica (Vas). All’epoca, Roma aveva dovuto inviare due lettere, mettendo in copia la Commissione europea nella seconda, prima di ricevere una risposta da parte di Zagabria.

Poi, a inizio marzo, il primo ministro Zoran Milanovic aveva pensato di calmare le proteste interne annunciando un referendum sul petrolio, a cui Vrdoljak si era subito opposto. «Sono alla testa di questo progetto fin dal primo giorno e il governo non getterà la spugna ora», aveva dichiarato il ministro.

L’iniziativa del premier era dunque finita in un cassetto, ma in questo clima di crescente contrarietà all’avventura petrolifera, la firma dei contratti definitivi con le imprese energetiche, inizialmente prevista per il 2 aprile, è slittata di mese in mese.

Ancora oggi non è chiaro quando le rimanenti tre imprese interessate al petrolio dell’Adriatico (Ina, Eni e MedOilGas) metteranno nero su bianco le loro promesse. Il ministro dell’Energia e la direttrice dell’Agenzia croata per gli idrocarburi (Azu), Barbara Doric, hanno assicurato che a settembre ci sarà un nuovo bando per assegnare i rimanenti blocchi, sia "off-shore" in Adriatico che "on-shore" nella Croazia continentale. Ma più il tempo passa, più si avvicina la data delle elezioni legislative, previste per inizio 2016.

E l’ormai impopolare progetto petrolifero, che secondo alcune stime dovrebbe far guadagnare al Paese circa 100 miliardi di dollari in 25 anni (a titolo di paragone, in Croazia il turismo ne produce 7,5 miliardi ogni anno), rischia di rivelarsi una palla al piede per il governo socialdemocratico, attualmente in svantaggio nei sondaggi. Forse, insomma, il calendario elettorale finirà per dar ragione agli ecologisti croati. La disfida per le trivellazioni in Adriatico insomma è appena cominciata.

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