Edilizia a picco a Trieste: in 5 anni chiuse 132 imprese su 569

Quando si spezza un equilibrio storico succedono cose più eclatanti del previsto. Perfino che una categoria in tremenda crisi trovi nel disastro economico anche la voce per farsi una pesante autocritica. È quel che viene allo scoperto nel campo dell’edilizia, il più terribilmente colpito, per calo di commesse, mancati o ritardati pagamenti, rifiuti di prestito delle banche. La Cassa edile di Trieste dal 2008, inizio della tempesta finanziaria mondiale, ha perso un quarto dei lavoratori del settore e un quarto delle imprese. Anche se il calo del giro d’affari è calcolato in meno 11% a fronte di un peggiore meno 16-17% nazionale.
C’erano nel 2008 (dati ufficiali) 569 imprese edili a Trieste e da allora 132 hanno chiuso. C’erano 2789 operai e 738 sono rimasti a casa.
Alessandro Settimo, ingegnere e titolare di una importante impresa triestina, è il presidente della Cassa edile e ha deciso di andare incontro alle aziende, «falcidiate dall’accesso al credito negato, perché per le banche basta essere edili per ricevere un “rating” basso - accusa -, è un ordine di scuderia che non guarda in faccia a nessuno». Ha voluto dunque aiutare le imprese, ma non tutte. Solo quelle virtuose. Niente lavoro in nero. Sicurezza in cantiere garantita. Corsi di formazione organizzati. Porte aperte ai controlli. Il premio per chi è stato trovato in regola è il calo consistente dei versamenti contributivi, dall’11.40% su ogni ora lavorata a 4,20%. Cosa che continuerà sperimentalmente fino al 31 luglio 2014.
Ma con questo meccanismo di premio Settimo ha in verità messo le imprese sotto controllo. Risultato clamoroso: è risultato in regola solo il 36% degli iscritti. Un terzo del totale.
«Ma non è mica male - commenta Settimo a sorpresa e con tono soddisfatto-, in questo settore spesso le ditte sono inadeguate da ogni punto di vista. C’è evasione dei contributi. Il “nero” è la norma». Viva la sincerità. Ed è solo l’inizio, perché il presidente aggiunge: «Pulizia andava fatta. Hanno chiuso in tanti ma la categoria ha le sue responsabilità. Raccoglie ciò che ha fatto nel tempo». Durissima accusa.
«La debolezza - spiega Settimo - è nella scarsa professionalità. Per fare ogni cosa, anche il barista, servono scuole, corsi, patentini, esami, e invece per aprire un’impresa edile basta la partita Iva, non occorre dimostrare una professionalità specifica». Sarebbe a dire che qualcuno meritava il destino che ha avuto? È solo una parte del problema. Perché poi le sofferenze di sistema sono una lista che non finisce più: «Il costo del lavoro è troppo alto, le banche non finanziano, c’è una burocrazia asfissiante, e un edile anche quando viene pagato lo è per stati di avanzamento dei lavori, quindi “deve” poter avere degli anticipi, adesso hanno chiuso anche imprese grandi, imprese storiche, stiamo vivendo - aggiunge Settimo - un momento epocale, e dunque dovremmo anche noi far qualcosa: dobbiamo fare più innovazione».
La Cassa edile ha un ulteriore problema: «Quasi tutti i nostri operai sono stranieri, è un male antico che i nostri giovani non vogliano più questo mestiere, le ditte se li vanno proprio a cercare fuori dai confini. Serbi, ma anche albanesi, romeni, kosovari, bosniaci. E noi organizziamo corsi di lingua italiana, con istruttori plurilingui, diffondiamo libretti d’istruzioni. Il modo per garantire protezione e lavoro alle ditte perbene è uno solo: far osservare la legge, per tutti».
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